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"Credo ci sia anche questo: un ‘volermi gonfiare' in una specie di sentimento tragico. E non solo un sentirmi sempre triste, ma un volermi sentire sempre più triste. Un portare agli estremi le situazioni drammatiche, per poi soffrirne di gusto. [...] Non farti prendere da un'atmosfera, da un momento, per di più d'indolenza, ma tieni presente le grandi linee e le grandi direzioni. E sii pure triste, semplicemente e sinceramente triste, ma non costruirci sopra dei drammi. Una persona dev'essere semplice anche nella sua tristezza, altrimenti la sua è soltanto isteria".
A un certo punto ho pensato che potevo diventare un uomo importante. Sentivo che la morte mi dava tempo. E allora infilai la testa nel mondo come un bambino che infila le mani nella calza della befana. Poi è arrivato il mio giorno. Svegliati, disse mia moglie. Svegliati, continuava a ripetere.
Vorrei conoscere gli operai delle cave quelli che cavano i nostri pensieri e sanno davvero usare la benna, quelli che aprono lunghi cunicoli dove non siamo mai stati e nemmeno sapremmo entrare. Forse hanno le mani sporche e anche i loro sindacati Vorrei conoscerli perché di certo non amano il padrone né lo odiano. Lavorano come noi un po’ di traverso. Ognuno fa la sua parte più o meno, ma chi si preoccupa se il prodotto è finito? Gli addetti alla consegna non sono responsabili, cosa c’entrano loro se il sogno è scarso? Come vorrei parlare da uomini e andare con loro all’osteria un po’ di vino, calcio e allegria, vorrei mostrare che sono simile a loro non sono migliore non sono un padrone. Sono quello che loro mi danno sassi grezzi e pensieri a volte buoni oppure solo un po’ d’argilla e terra bagnata, ma che farci? Non sanno come mi sento solo e come vorrei essere loro amico. Non sanno che simpatia mi fa il loro mondo scanzonato. Strizzo l’occhio anche allo sciopero che mi lascia senza parole. Io non merito davvero un’altra dedizione, lo so che sfrutto il loro sudore e quando dal fondo esce una gemma non so neanche chi ringraziare.
da Pozzanghere (Einaudi)
Salvatòre: con la o larga e lunga. Un libro scompaginato. Il caffè che sgocciola dalla guarnizione. Il suono di una voce che leggi solo scritta ma che ricordi. Una foto troppe volte piegata da non essere più una foto. Una particolare forma di silenzio (e non sai spiegare quel "particolare"). Il fustino del dixan coi giocattoli. I sogni veri come una veglia. E la sveglia, quella che scampanellava. I giornali che scrivevano mucillagine (era giusto con una sola g?). Il titolo di un titolo che non ricordi. La mano che prendeva appunti all'università. Scoprire di non vedere lontano e dover strizzare gli occhi. Una cosa o una persona di cui scopri di non poter più fare a meno. Più o meno questo.
Sono grato all’attesa e alle sue sale, nessun luogo è casa mia più di quella del dentista. E’ lì che trovo pace per quello che non c’è: si giustifica da sé la mia presenza. Tamburello quanto voglio e leggo solo di sciocchezze. Non mi chiedi d’essere altro che quello che non sono: arcata e premolari mandibola e dentina. E’ ben visto che stia poco e pensi a nulla. Ho diritto alla paura, mi fai carico leggero di un’innata codardia. Posso attendere impaziente anche quello che non voglio. Un corpo aspetta grato a bocca chiusa.
Da Pozzanghere di Filippo Strumia, Einaudi
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