Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
E' bello non è bello. Mi piace non mi piace. Che dire di un film di Wong Kar Wai? Che è un film di Wong Kar Wai e in quanto tale fa genere a sé con tutto quel talento un po' prezioso dell'immagine, del ralenti, del colore, delle luci ecc. Che dire poi dei temi? Che dire della direzione degli attori? Ecco, forse ci sarebbe da chiedere quanto e come faccia bene ad un attore essere parte di una tela d'autore. Eccezioni: Mastroianni e Fellini (chi altri con lui?). E con Ferreri? Ci sono registi che mangiano gli attori e registi che...come dire? Tutti li valorizzano, come no...ma in certi casi lo scambio simbolico è più forte e si perde qualcosa in ragione di qualcos'altro. Tempo fa sentii un'attrice rivelare che sì si sarebbe spogliata di nuovo al cinema ma per Wong Kar Wai... l'ovvio sottotesto è che se uno si spoglia per un regista così non si spoglia in quanto lei ma per quello stesso principio di scambio simbolico partecipa ad un'operazione di morte. Un suicidio? In un certo senso. In un altro è qualcosa che ricorda i bambini di satana o qualche setta sacrificale. Ecco la domanda: è giusto morire in cinema? Fino a che punto vale la pena eternarsi in pellicola?
Dunque? Dunque niente. Come "niente"? Niente. Non mi piace "dunque", è una parola che odio. Mi costringe e per questo non mi piace.
Tutta la vita davanti (ieri): brava la Ragonese e bravo Germano. Spendo ancora due parole per Non pensarci. Avete presente quell'impressione di naturalezza, scioltezza che ti fa dire: questi si sono proprio divertiti sul set! Così deve essere stato. Come se fosse venuto tutto facile. Persino una piccola parte come quella della Murino o di Briguglia o di Abbrescia risultano non camei ma di una dignità tipica dei personaggi secondari che - lo diciamo spesso - ci piacciono quasi quanto o più dei protagonisti, malati come siamo di secondarietà. C'è in tutto il film quel vuoto speciale (carico di premesse conseguenze) che hanno i momenti storti (nel senso di sbilanciati non brutti) dell'esistenza. Quando - linea d'ombra - la giovinezza è andata e la maturità stenta a presentarsi bene, coi suoi indubbi ma indefinibili o definitivi vantaggi. Uno spaccarsi del suolo esistenziale talmente perfetto nella sua assenza d'acqua da meritare nuova secchezza. Accadeva altrettanto ieri, a mille passi cinema-casa, appena spiovuto, con un cetriolo nella tasca 40 centesimi, tutti i negozi chiusi, qualche o nessun pensiero.
L'altro giorno il poeta e non solo Majorino compiva ottant'anni
Tu che guardi...
tu che guardi la purezza delle cose la loro sicurezza tu che guardi alterata dall'ignoto che fa da tuorlo al corpo pure porgendo il profilo inviti a qualcosa d'intensamente stabile e fluttuante quindi con la voce battezzante nomini dividi esponi l'ombra sorella misteriosa persona corporale più ricca di ogni cosa
Giancarlo Majorino (da: Autoantologia)
Mi sono svegliato con la parola "togo" in mente e con rincrescimento. Mi risuonava "tooogo" (credo si debba pronunciare così) e "toghissimo" ma con una piccola scossa di fastidio, un brivido di freddo, un disappunto. Che cos'è successo ieri? Non so dire. Passano ore senza attenzione e anche a starci attenti non te ne accorgeresti: che passano, che vanno, che non riesci a tenerle. E con rincrescimento anche questo: questo passare inflessibile. Eternarsi è forse dei morti, solo loro. Con collaborazioni: dei biografi, dei preti, dei buoni propositi.
Ottocento di Fabrizio De Andrè + Novecento di Paolo Conte
Cantami di questo tempo l’astio e il malcontento di chi è sottovento e non vuol sentir l’odore di questo motor che ci porta avanti quasi tutti quanti maschi , femmine e cantanti su un tappeto di contanti nel cielo blu
Figlia della famiglia sei la meraviglia già matura e ancora pura come la verdura di papà
Figlio bello e audace bronzo di Versace figlio sempre più capace di giocare in borsa di stuprare in corsa tu moglie dalle larghe maglie dalle molte voglie esperta di anticaglie scatole d’argento ti regalerò
Ottocento Novecento Millecinquecento scatole d’argento fine Settecento ti regalerò
Quanti pezzi di ricambio quante meraviglie quanti articoli di scambio quante belle figlie da sposar e quante belle valvole e pistoni fegati e polmoni e quante belle biglie a rotolar e quante belle triglie nel mar
Figlio figlio povero figlio eri bello bianco e vermiglio quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio figlio figlio unico sbaglio annegato come un coniglio per ferirmi, pugnalarmi nell’orgoglio a me a me che ti trattavo come un figlio povero me domani andrà meglio
Ein klein pinzimonie wunder matrimonie krauten und erbeeren und patellen und arsellen fischen Zanzibar und einige krapfen frùer vor schlafen und erwachen mit walzer und Alka-Seltzer fùr dimenticar
Un piccolo pinzimonio splendido matrimonio cavoli e fragole e patelle ed arselle pescate a Zanzibar e qualche krapfen prima di dormire ed un risveglio con valzer e un Alka-Seltzer per dimenticar.
Quanti pezzi di ricambio quante meraviglie quanti articoli di scambio quante belle figlie da sposar e quante belle valvole e pistoni fegati e polmoni e quante belle biglie a rotolar e quante belle triglie nel mar.
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Dicono che quei cieli siano adatti al cavalli e che le strade siano polvere di palcoscenico Dicono che nelle case donne pallide sopra la vecchia «Singer» cuciano gli spolverini di percalle, abiti che contro il vento stiano tesi e tutto il resto siano balle, vecchio lavoro da cinesi… eh… eh… Dicono che quella vecchia canzoncina dell’ottocento fa sorridere in un dolce sogno certe bambole tutte trafitte da una freccia indiana, ricordi del secolo prima, roba di un’epoca lontana, epoca intravista nel bagliore bianco che spara il lampo di magnesio sul rosso folle del manganesio.. eh… eh… Indacato era il silenzio e il Grande Spirito, che rellentava la brina, scacciava i corvi dalla collina… come una vecchia cuoca in una cucina sgrida i fantasmi del buongustai in una lenta cantilena… Lasciamo stare, lasciamo perdere, lasciamo andare non lo sappiamo dov’eravamo in quel mattino da vedere… eh… eh… Dov’eravamo mai in quel mattino quando correva il novecento le grandi gare di mocassino… lassù, sui palcoscenico pleistocenico, sull’altopiano preistorico prima vulcanico e poi galvanico… dicono che sia tutta una vaniglia, una grande battaglia, una forte meraviglia… eh… eh… Galvanizzato il vento spalancava tutti i garages e liberava grossi motori entusiamati… la paglia volteggiava nell’aria gialla più su del regno delle aquile dove l’aereo scintilla… l’aereo scintillava come gli occhi del ragazzi che, randagi, lo guardavano tra i rami del ciliegi… eh…eh…
Ecco la recensione del libro di Carola Susani uscita ieri su l'Adige di Trento.
http://www.ladige.it/giornale_online/a_giornale_index.php?DataPubb=20080327
Se dal deserto del Belice nasce un fiore di Roberto Carvelli
È il 14 gennaio 1968, ora di pranzo. Per chi scrive è una data di nascita, un marchio indelebile sui documenti e quindi un giorno felice. Per la Valle del Belice e per la Sicilia tutta è il ricordo di un dolore. Quell'ora e quel giorno segnano la prima avvisaglia-scossa di un terremoto che nella notte a cavallo col giorno successivo porterà distruzione e morte. Il libro di Carola Susani «L'infanzia è un terremoto» (Laterza, 142 pagine, 9 euro) aiuta a ricostruire l'altra metà triste di quei giorni. Il libro-inchiesta è una viaggio, in realtà, nella ricostruzione tra l'esperienza (a cui parteciparono i genitori e l'autrice, da piccola) dei volontari di allora e i risultati di oggi di quei grandi sforzi anche ideali. Su tutti spicca Danilo Dolci (e il suo dissidio con Barbera che fa da cartina al tornasole di un separarsi sui modi che travalica quella storia e racconta l'Italia di quegli anni) ma sono molti i ricordi di baracche e giochi della scrittrice nata a Marostica, ma a Roma da anni, a fare da filo conduttore come a dire che proprio da un deserto nasce un fiore.
13/04/2008
Ieri ho visto Into the wild. Lo sono andato a vedere come si va a vedere un film che sicuramente non ci piace. C'è una specie di conforto nel sapere che c'è qualcosa che c'indispettirà. Non per nulla è vizio praticato. Sono andato a vedere Into the wild e non mi è dispiaciuto (alle simpatiche - le più simpatiche in assoluto - valutazioni di alias il manifesto...avete presente?...aggiungerei questa scarna e odiosa ma significativa valutazione). Mi è sembrato un film troppo americano per essere gustato a pieno a tanti fusi orari di distanza e con un sistema decimale da convertire. Anche se un po' sciaquati (o esibiti) ci ho trovato i capisaldi del naturalismo di Thoreau che ho molto amato e molto amo. E questo mi è bastato per confermarmi in un'osservanza che si fa presto a perdere (in mancanza del wild). In più: mi è sembrato (forse sbaglio) che il regista non abbia ceduto alla tentazione della santificazione e abbia anzi trovato nella parabola prima vincente e poi perdente del mito selvaggio (o selvatico, lo trovo più adatto, del senso snyderiano) del suo protagonista l'equidistanza nei due casi. Il tema è e rimane quello tra i due vettori: da una parte la ubris e dall'altra parte il vedere soluzioni esterne a problemi percepiti come esterni. Penn aggiunge Dio e la luce dell'amore.
Esce per i tipi Baldini Castoldi un libro da blog, blog che qui già citammo anni or sono www.grassaebella.splinder.com Il libro lo citiamo e basta per non averlo letto ma il programmatico titolo LE CICCIONE LO FANNO MEGLIO, che lascia poco all'immaginazione, ci piace ripeterlo senza fare riferimenti a persone o cose dei fatti o informate sui fatti o informate o quello che vi pare... è solo che ci piace spezzare una lancia (una lancia?) a favore della causa ... - che brutte parole che vengono (persino quel "ciccione" argh così scolastico) - della causa "in carne". Senza compatimenti - non sia mai - ma con molta convinzione. Blog a parte e grasso in tema...sto leggendo il bellissimo libro di Amanda Davis "Mi chiedo quando ti mancherò". Com-pra-te-lo! Edizioni Terre di mezzo. Era un cambio merce, in mezzo ad una strada con un negro (un nero per chi ha ancora la versione 2.0). Un appuntamento preso il giorno prima. Lui cambia il libro e dice "Tu parole (che vorrebbe dire credo che ero stato di parola) Tu parole, altra gente no parole" (non mantiene le parole?) "Tu buono, tu occhi buoni, lo vedo". Ho pensato all'arte del commercio, alla naturale arte del commercio ...ma avevo pagato già. C'era un velo di stupore e di commozione nell'uomo anziano. Forse un po' di sincerità. Ci ho ripensato un po' dopo. E dopo. E ora.
Essere lì, in un altrove distratto e inattesi come in questo film (LA BANDA). Alle porte del nulla. Dove il poco si confonde col niente in un confine labile che non è questo e non è altro, niente altro di quello che sapevi o eri. E ne ritorni uguale, di un uguale che pare nuovo. Capita spesso di essere in viaggio, in questi luoghi senza luogo e tempo che fanno del tuo viaggio una sacca di ricordi apparentemente vedovi e che solo dopo scopri resistere alla dispersione della memoria.
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