Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Esci di scena il più presto che puoi E non avere figli tuoi
Traducono gli ultimi due versi della poesia pubblicata in inglese ieri.
Esci di scena il più presto che puoi E non avere figli tuoi
"La pioggia in città, con quel suo invito tanto penetrante a lasciarsi trasportare dal sogno negli anni della prima infanzia, risulta comprensibile solo a chi sia cresciuto in una grande città. La pioggia tiene ovunque più nascosti e rende le giornate non solo grigie, ma uniformi". Traggo questa frase da "I Passages di Parigi" di Walter Benjamin. La frase si addice ai giorni. Di pioggia a Roma. Questi. Le pagine che seguono sono ancora più belle (ma tutto il libro è straordinario, si sa). "Proviamo noia quando non sappiamo cosa stiamo aspettando. Saperlo o credere di saperlo è quasi sempre solo l'espressione della nostra superficialità o della nostra distrazione. La noia è la soglia verso grandi imprese. Ora sarebbe importante sapere: qual è il contrario dialettico della noia?" E ancora, poi: "La noia è sempre il lato esterno dell'accadere inconscio".
Da Res Amissa (1991).
Non ne trovo traccia.
......
Venne da me apposta (di questo sono certo) per farmene dono.
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Rivedo nell'abbandono del giorno l'esile faccia biancoflautata...
La manica in trina...
La grazia, così dolce e allemanica nel porgere...
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Un vento d'urto - un'anta quasi silicea agghiaccia ora la stanza...
(E' lama di coltello?
Tormento oltre il vetro ed il legno - serrato - dell'imposta?)
...... ......
Non ne scorgo più segno. Più traccia.
...... ......
Chiedo alla morgana...
Rivedo esile l'esile faccia flautoscomparsa...
Schiude - remota - l'albeggiante bocca, ma non parla.
(Non può - niente può - dar risposta.)
...... ......
Non spero più di trovarla.
......
L'ho troppo gelosamente (irrecuperabilmente) riposta.
La birra di ieri
La partita di ieri
La cena di ieri
La notte di ieri
Mi avresti chiesto cosa avevo fatto, cosa avevo mangiato, dov'ero stato. Altre domande un po' inutili a cui avrei risposto con molta serietà nella certezza che per te fossero importanti. Mi sembra di non rimpiangere nulla, di non dover chiedere ammenda di qualcosa Mi sembra di aver speso bene questo tempo ma più di tutto mi sembra di aver speso bene questi ultimi anni con te. "Speso". Non uso a caso o male questa parola. E' per aver un termine di confronto "opportuno" (non opportunista) con tutte le cose da fare e fatte, che avresti o non avresti voluto fare. Ecco, se me lo chiedessi ora te lo direi: che bel tempo insieme. E che bella vita la mia con la tua.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare.
(Bertolt Brecht)
Adesso che placata è la lussuria sono rimasto con i sensi vuoti, neppur desideroso di morire. Ignoro se ci sia nel mondo ancora chi pensi a me e se mio padre viva. Evito di pensarci solamente. Ché ogni pensiero di dolore adesso mi sembrerebbe suscitato ad arte. Sento d'esser passato oltre quel limite nel qual si è tanto umani per soffrire, e che quel bene non m'è più dovuto, perché soffrire della colpa è un bene. Mi lascio accarezzare dalla brezza, illuminare dai fanali, spingere dalla gente che passa, incurioso come nave senz'ancora né vela che abbandona la sua carcassa all'onda. Ed aspetto così, senza pensiero e senza desiderio, che di nuovo per la vicenda eterna delle cose la volontà di vivere ritorni.
«Voi che siete gli amici che non ho, voi che siete i soli con cui possa scambiare quattro chiacchiere o andare in giro a divertirmi, non vi andrebbe di parlare di libri o di come si può cambiare il mondo? Che ne dite? Magari dopo si potrebbe uscire a fare casino. Eh? Non vi va?.... Ve lo chiedo per favore! Cristo, non ne posso più di starmene chiuso qua dentro a sbattere la testa contro il muro. Per favore! Cosa vi costa volermi un po’ di bene? Provateci, almeno. Vi chiedo solo questo. Ho così bisogno di un gruppetto di amici… ma perché non rispondete? Merda merda merda, ma non c’è nessuno in quel vostro mondo del cazzo? … qualcuno, uno qualsiasi, chiunque… non ne posso più di star qui a farmi consolare dai miei sogni. Sono così solo. Così… c’è nessuno là fuori? Perché non dite niente? Rispondete per favore… per favore» (Tommaso Pincio, “Un amore dell’altro mondo”).
Venerdì ho avuto la fortuna di assistere al concerto di Toumani Diabaté nel castello di Sermoneta (Latina). Non credo che avrò modo di dimenticarmene. Credo che succederanno ancora tante cose nella mia vita - lo spero, almeno - eppure quella di venerdì sarà un'emozione che non dimentico. Non so se nel frattempo gli avrò dato un nome. Se sarò riuscito a sintetizzare questa unione di misticismo e sano divertimento. L'idea di aver fatto parte di un rito (e in quanto parte di averlo officiato...che poi è questa la grandezza della musica dal vivo, in genere) tra il rigenerante e il riflessivo. Una cosa così, che non so chiamare. Mi ricorderò la sua faccia tra il consapevole e l'inconsapevole, l'irriverente e il religioso. Una faccia che sembrava dire che è tutto normale che è così, che questo è suonare eppure anche suscitando impressioni di possibilità inespresse (che sarebbe stato a noi esprimere). Boh qualcosa sarà successo. In fondo: succede sempre qualcosa.
http://www.myspace.com/toumanidiabate
Di Carvelli (del 27/05/2008 @ 09:15:17, in diario, linkato 1169 volte)
Delle preziose compagne degli inizi (anni) di scrittura mi ricordo la piccola ma interessante rivista di letteratura TRATTI (Fogli di letteratura e grafica da una provincia dell'impero) che ora so anche resistente. Mi arrivano a distanza di anni due numeri di questo sforzo appassionato che si fa a Faenza. La guida spirituale si chiama Leotta, la casa editrice Moby Dick. Il numero 77 aveva la curiosa campionatura d'auto di Elio Paoloni. Il 78 è un florilegio di poesia ben introdotto da Cesare Ricciotti ("La grammatura delle parole"). Vi segnalo le poesie del veneto Andrea Longega. Trascrivo questa - facendo torto al dialetto di partenza - in lingua.
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Ancora quasi a quarant'anni salgo le scale dietro di te. Il pantalone che si alza ad ogni scalino ti segna la gamba magra, gamba di chi ha fatto poco sport, ed io - diverso anche in questo - chiudo la fila, dietro di te.
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