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 il sabsoppalco... di Carvelli
 
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Avevo amato le donne con le quali ero vissuto. Tutte. E con passione. Anche loro mi avevano amato. Ma sicuramente con maggiore sincerità. Mi avevano dato un po' di tempo della loro vita. Il tempo è una cosa essenziale nella vita delle donne. Per loro, è reale. Per gli uomini, relativo. Mi avevano dato molto. E io, cosa avevo regalato? Tenerezza. Piacere. Felicità sul momento.

Jean-Claude Izzo
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 25/07/2004 @ 13:55:22, in diario, linkato 902 volte)

Ho scritto un racconto per questa manifestazione...a tutt'ora non mi è dato sapere se è stato letto. Le cronache sono molto confuse...si parla di programmi scritti e di attori che improvvisano...Insomma è probabile che il racconto scritto per l'occasione non sia stato letto. Ma che sia stato scritto lo giurerei...anzi LO GIURO come disse la Mamma di Cogne. Va beh...domani lo posto per il sito...ve lo leggerete almeno voi...

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Di Carvelli (del 26/07/2004 @ 07:32:08, in diario, linkato 1080 volte)

 

PIPO PIPA AAAARRR

 

Non ho visto Francesca con la pancia. Né al primo figlio né al secondo. Francesca è magra, ossuta, alta. Forse la pancia l’avrà portata come una maggiorazione tutto sommato contenuta. Non ha fatto come quelle donne che si gonfiano a scoppiare salvo poi rientrare nella normalità come se due o tre chili occupassero metri e metri quadri della piccola casa provvisoria di una mamma.

Francesca è nata a Roma da genitori romani. Qui ha studiato scienze politiche e ha vissuto. E qui ci siamo conosciuti. Ma da qualche anno si è trasferita a Parigi dove vive, dalle parti del Pare Lachaise, con il suo compagno e i figli che dicevo. La casa è piccola. Quaranta metri quadri da dividersi in quattro. Se si escludono il bagno, un cucinotto angusto e un ripostiglio, ad ognuno spettano poco più di sette metri quadri. In realtà quando io sono stato a trovarla ho percepito una inconsueta dimensione spaziale dalla quale sono ritornato rinfrancato riguardo ai miei trenta metri quadri stipati attorno alla solitudine e, tornando, ho preso ad agganciare alle pareti mensole e libri, pensili e armadi di stoffa facendo della casa un parallelepipedo in arrampiacata. Un andare in verticale che lotta contro la banalità didascalica della legge di gravità a  predisporre una piccola astronave per viaggi interstellari che mi faccia dire che nei miei anni qui non avrò mai a lamentarmi dell’assenza di alcunché, che sopravviverò alle carestie e al dolore che ti serra in casa.

Quando sono arrivato nella piccola casa vicino a Place Gambetta – le indicazioni e la mappa che mi aveva  inviato per posta elettronica erano precisissime – e ho salito le scale di legno e moquette mi sono trovato i due marmocchi davanti insolitamente festosi. Insolitamente per la scarsa dimestichezza con me – il grande, quattro anni, non poteva ricordarsi di avermi conosciuto più di tre anni prima, il piccolo, di due, non mi aveva mai visto – mi sono ritrovato a giocare prima con uno e poi con l’altro.

Come giocava il grande.

Mi passava dei grandi fogli di carta per costruire un avion, un aeroplano. Che poi piegato finiva per attraversare in lungo e in largo, si fa per dire, la piccola casa francese di Francesca. L’avion si perdeva e bisognava piegare un altro foglio che si perdeva. Il tutto in quaranta metri quadri. Dopo i due o tre primi fogli l’avion ha iniziato a chiamarsi aereo in onore del costruttore. Ho piegato dieci fogli e fatto volare quattro avion/aerei e alla fine i miei di avion/aerei erano i più richiesti degli avion/avion o avion/aeroplano del marito di Francesca che è spagnolo una lingua che per quel pezzo si carta piegato proponeva due parole-calco francese o italiano.

Come giocava il piccolo.

Prendeva un grosso libro illustrato e si sedeva vicino a me per sfogliarmelo davanti, girando con ritmo regolare i fogli e interpretando con facce e versi le figure. PIPO e PIPA erano le ambulanze, le gru, i camion dei vigili del fuoco e altri mezzi di lavoro che da quanto ho capito anteponeva in ordine alla preferenza a qualsiasi altra forma di trasporto. Un bimbo-operaio poco convinto della mollezza delle belle auto decappottabili o forse un futuro pompiere. Se compariva un mostro – una figura dall’aria minacciosa, meglio – il piccolo lanciava un AAAAARRRR digrignando i dentini mentre se il volto successivo rappresentava una figura più quieta e rassicurante scoppiava in una risata.

Bisognerebbe calcolare la diffidenza dei bambini e la loro familiarità con gli altri come se fossero coefficienti, forse aiuterebbe la conoscenza di questo mondo così misterioso che ha regole che non ricordiamo e che negli anni tendiamo a crederne privo. Superato lo choc dei risvegli del primo mattino, quelli ombrosi che precedevano la colazione ai piedi del mio letto e la preparazione per la scuola, mi sono ritrovato ad iniziare la giornata costruendo aerei e sfogliando PIPO PIPA AAAARRRR entrando in un mondo fatto di magie e di comunicazioni misteriose. In questo mondo ogni parola aveva molti significati e molti oggetti avevano tre parole. Il figlio più grande di Francesca infatti nominava gli oggetti in italiano spagnolo e francese, senza alle volte rendersi conto di chi fosse il suo interlocutore. Se il padre, spagnolo, se la mamma, italiana, se la classe del suo asilo e quindi dovesse ricorrere alla lingua della città. Io, inatteso, dovevo ancora essere registrato come parlante italiano così ero interpellato nelle tre lingue e in base alla mia faccia perplessa assecondato nella lingua comune ma non senza una specie di black-out momentaneo. Fin circa ai due anni – gli esperti suggeriscono esserci una certa normalità in questo – il piccolo dei due aveva faticato a trovare parole significanti. Circa quattro mesi dopo la mia visita so invece dalla mail allegra di Francesca essersi sciolto quel linguaggio personale fatto di PIPO PIPA AAAARRRR e che il piccolo ha iniziato a parlare. In francese. Per ora. Ma, al momento in cui scrivo, sono sicuro che la tavola sinottica delle tre lingue anche sul piccolo abbia trovato il suo felice utilizzo. Da quanto risulta molti psicologi dell’infanzia parlano in termini entusiastici del trilinguismo e crescono gli esperimenti di triplo insegnamento della lingua specie in quelle regioni a statuto speciale bilingue con una lingua minoritaria e un'altra veicolare, tipo l’inglese. Francesca, che già si era preoccupata, si era poi tranquillizzata alle rassicurazioni di un pediatra che sosteneva avrebbe all’improvviso iniziato a parlare tutte insieme. Tutte e tre. Ma nel momento della mia visita il piccolo e affettuoso bambino della mia amica si produceva in espressioni sonore e discorsi senza nessuna tramatura di senso. E’ un momento bellissimo che poi, se uno ci pensa, non torna a parte se strilli, se ti lasci portare dal piacere, se provi a dire cose in lingue che non conosci o se, appunto, tenti di parlare con i bambini con una ridicola imitazione dei loro versi che per lo più, e più spesso hanno il senso preciso di un’onomatopea, anche se oscura. Doveva essere così anche per PIPO PIPA, il suono delle sirene e dei clacson spiegati del pronto intervento. E ancora più sicuramente per quell’AAAARRRR. Il mito non è l’esperanto quindi né il latino pontificio ma i suoni che fa un corpo e gli sforzi che può fare un’ugola per trascendere le difficoltà della comunicazione. A Belfast, mi ricordo di me, ventunenne, inseguito di piano in piano in un pub su più livelli e poi in fuga per i viali della città nord-irlandese da due che mi avevano rivolto parole che non avevo capito. Erano parole minacciose? Non saprei dire. L’aria era minacciosa e avevo preso a scalare quel pub appartamento a più piani e poi a riscenderlo e fuggirmene per le strade che presto avrebbe animato una tradizionale (ero lì per quello) manifestazione dell’IRA. Quello, con altri episodi di incomprensione linguistica in giro per il mondo o in Italia, e con pochi fortunati incontri (ma qui il campo si amplia) con animali costituiscono alcune delle esperienze più importanti in questo piccolo bagaglio che mi porto appresso. Sono esempi rari e sparsi nel tempo, altre volte sono sogni ad occhi aperti fatti di paura e tensione che mi fanno immaginare in luoghi lontani da qui dove tutti ti parlano una lingua che non sai. Alle volte mi addormento pensandomi in un villaggio della Siberia o in qualche montagna dell’Iran o della Georgia ed è un brivido che mi corre lungo la schiena, lo stesso, ma più allegro, di quando un bambino mi dice dei suoni che hanno senso per lui ma non per me. Ma è in quei momenti che il brivido si fa più sottile perché mi viene da argomentare che nessuno di quei versi proveniente da quella bocca piccola può essere frutto di uno studio ma piuttosto di un ascolto diverso di cui, con uno sforzo di annullamento, potrei dotarmi anche io come riniziando un processo di cui non sono più tanto convinto.

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Di Carvelli (del 26/07/2004 @ 11:10:38, in diario, linkato 1025 volte)

 

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http://www.carta.org/articoli/narrazioni/narrazioni04/26brevi.htm

Roberto Carvelli
Letti
[Voland, 116 pagine, 10 euro]

Per gli amanti delle letture sotto l’ombrellone, ecco alcuni brevi racconti, pillole sulla storia della propria vita [dell’autore e di noi stessi] raccontata attraverso i letti. I primi «letti» erano stati pubblicati nel marzo/aprile 2000 e poi tradotti in inglese e croato fino a diventare una raccolta. Carvelli ha una scrittura asciutta e poetica assieme, difficile non ritrovarsi nel momento comune del sonno, un terzo della nostra vita mai curato abbastanza. Dall’infanzia alla morte, con ironia, a tratti nostalgia, ritroviamo i letti che abbiamo amato, abbandonato, ricercato, cambiato, invidiato, insomma «stralci di un’esistenza per lo più orizzontale».

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Di Carvelli (del 27/07/2004 @ 09:24:03, in diario, linkato 1021 volte)
Ieri visto un film nient'affatto male JAPANESE STORY. Uno di quei film che magari dici ...una storiellina...che poi è dichiarato nel titolo, insomma. E invece, a sorpresa, un bel film. Intelligente, sensibile, sul filo mai deviato della banalità. Certo, è un film sul contrasto delle culture e per evidenza di due delle culture più antipodiche: la vetero tradizionale giapponese e la neo neo occidentale australiana. Paesaggi straordinai, d'anima, chatwiniani. Due attori soprendentemente bravi. Cionondimeno si tratta di uno di quei tipici film che escono in estate. In sale semivuote con la ragazza davanti a te con l'occhio bendato che ti chiede com'è il film e tu che gli chiedi prima di tutto cosa ha fatto alll'occhio. Il cinema l'estate è un fatto da iniziati. E' il luogo più fresco dove mettere pelle, il posto giusto per fare pace con l'ansia da vacanza dopo l'ansia da lavoro dell'anno. La programmazione diventa spesso d'essai (a questo proposito vedasi il mitico calendario del TIBUR romano) o propone chicche mai viste, perle, scampoli, risulte del cinema sponsorizzato labour party e quello hollywood party. Va be'. Insomma, tiriamo fuori una definizione: chi va al cinema (non alle arene eh no...non bariamo!) d'estate beh il cinema lo ama eccome. E guardate che c'è gente che ho conosiuto che non ci andrebeb mai o addirittura - giuro - si vergognerebbe O quantomeno non ne andrebbe così fiero. Persone che là davanti prima di entrare si guardano in giro come se dovessero passare sotto la scritta VIETATO AI MINORI. Ed è il caso di dirlo...ricordando il magnifico episodio morettiano... che il cinema d'estate sforna anche questi film tra i vietato ai 18 e il film d'autore ma con grande dispendio di sudore e pelle piena. Non solo Piogge di Sangue quindi e non solo Film Generazionali che ci facciano dire che gli anni che abbiamo li portiamo bene. Almeno per questa estate.
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Di Carvelli (del 27/07/2004 @ 19:24:55, in diario, linkato 949 volte)
Eccomi a casa di Dario. Di che parliamo? Di 1870. Non basta essere ottimisti per fare le riviste dice dario. Io ti parlo e sono un argmento per aggiornare il tuo blog e se ne va dal gatto. Insomma. Che dire? Chiaramente non c'è un clima trionfale checchè ne possa dire Mattatoia. L'Ostile sta lì con le sue 1870 copie...né poche né tante...Poche per riuscire. Tante per immaginarsi un fallimento completo. Com'è difficile valutare gli errori...
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Di Carvelli (del 28/07/2004 @ 09:20:37, in diario, linkato 1215 volte)

Sul luogo in cui ci si siede al cinema ci sarebbe molto da dire. Ognuno ha le sue piccole manie. Un po' come quando scrivevo della lettura del giornale all'incontrario che poi molti mi hanno detto aver la stessa lettura contraria. Per quel che riguarda la seduta al cinema, la posizione che si sceglie per vedere il film c'è chi come D. fa una sua particolare concessione come ieri quando ti concede (in un'arena deserta...6 massimo 8 e per un film di cassetta come LA DONNA PERFETTA!!!!) la V fila... e che non siamo mai andati in I e II? ma la III è la prassi. Io in genere mi associo come ieri, come sempre con D. anche perché non mi dispiace. E' bello certe volte che le immagini ci mangino. Ma se il film è troppo movimentato o d'azione si rischia la nausea... Mi piacciono i posti centrali...assolutamente centrali ma anche quelli laterali che se vuoi esci. Mi intrigano i posticini in fondo e le sedie appaiate e il corridoio centrale per allungare le gambe specie nelle sale (sempre più numerose ahimè) in cui si riduce lo spazio tra sedile e schienale. E' bella la platea ma quanto anche la galleria... e poi è bello parlare...senza dare fastidio. Ma io non faccio testo...sono arrivato persino a fare una gara di sputi in faccia con una mia amica che neanche Totti...diciamo che Kezich non lo farebbe e neppure la Bignardi. Adoro i cinema dimessi, quelli dove si paga poco, quelli che non c'è nessuno e quelli che ci vai da solo. Amo addormentarmi, le sedie comode...amavo quando si apriva il tetto tra il primo e il secondo tempo, il tetto come una capotte. Mi piace la luce della cabina del proiezionista e la polvere che ci vola davanti. I bar dei cienam finché non erano macchine che fanno popcorn e miscelano coche e cole. Odio quelli che ti chiedono di alzarti per più di una volta (bon ton o no...dovrebbe essere il limite 1!). Amo e odio un sacco di altre cose ma alla fine amo il cinema ecco...

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Di Carvelli (del 29/07/2004 @ 11:21:20, in diario, linkato 872 volte)
Ecco. Mi dimentico sempre di scriverlo che su LETTI c'è un refuso ma sostanziale proprio. Ne IL LETTO DI S. "parte di A e cioè di S." e non "parte di A e cioè di A"...Mica roba da poco...cambia tutto...direi
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Di Carvelli (del 30/07/2004 @ 09:17:52, in diario, linkato 955 volte)
Allora: due paroline sull’ultimo film visto ANDATA+RITORNO. Bisogna riconoscere con piacere che il talentuoso Marco Ponti ha fatto un notevole balzo in avanti. SANTA MARADONA a mio modo di vedere fu salutato troppo facilmente come un capolavoro. Io ricordo una buona direzione degli attori e una regia interessante. Qua c’è una storia, uan sceneggiatura scritta con ritmo, una piccola favola storta con i due ingredienti del precedente film ma più giustificazione alla luce limpidissima del cinema e della letteratura che non perdonano le indulgenze anche quando sono giovanili. Magari premiano sbavature e inesperienze, tollerano gli sporchi ma non sopportano le pose. L’inno contrario al Signor B. ci coglie sorridenti e partecipi nel nostro cine a 2€ e aria condizionata. E' morto Tiziano Terzani. Non ho letto nessun suo libro ma delle interviste piene di spunti di vita e di incoraggiamenti.
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Di Carvelli (del 31/07/2004 @ 10:06:45, in diario, linkato 916 volte)

Ci sono mattine in cui ti prende una nostalgia formidabile. Oggi è per Janis Joplin. Stamattina mi sembra un danno irreparabile pensare che lei non è con noi. Come una vecchietta rauca e fumante, magari addobbata di SOUTHERN COMFORT. Ecco a cosa serve alla nostalgia. A ricordare chi non c’è più. A dare senso a cose che non ci potranno più essere e questa è una forma di amore. Salgo in cima alla casa e faccio colazione. È incredibile come crescano veloce le erbacce nei vasi. Come cammini il verde basso di piante che arrivano a seme da chissà dove (forse dagli archi dell’acquedotto là davanti dove nidificano i gheppi) e che non riesci a riconoscere. Un seme ora è un bonsai dell’albero di giuda. Faccio colazione (macchina da tre succo biscotti pesca noce) e leggo un racconto di Valeria Parrella che si chiama IL PASSAGGIO e mi torna una nostalgia napoletana che non so spiegare. Mi accorgo che tutte le volte che riscendo nella città partenopea (Dario direbbe “mo’ ti uccido” coem se avessi detto “zigomi alti” ma come altro dicevo per non ripetere Napoli? Eh? La città con gli zigomi alti… ma sì…Napoli: la città con gli zigomi alti! Vada!). Mi accorgo che tutte le volte che scendo nella città dagli zigomi alti è come se ripagassi un debito di gratitudine che non ha fine dentro di me. Non ha fine a Forcella da Michele né nel piazzale confuso della Stazione Centrale né nel capolavoro di Mergellina sotto forma di stazione dove incontrai Piero per chiedere un ricovero che poi fu lungo per la pazienza di una famiglia intera. Un altro avrebbe detto LA MIA FAMIGLIA NAPOLETANA. E se lo dicessi non farei torto a nessuno. Valeria Parrella è una delle migliori scoperte di questi ultimi anni. Per dire di Nichel, la collana italiana di Minimum Fax non posso non dire che con Raimo e Drago di “Cronache da chissà dove” sono le cose migliori che hanno pubblicato. Anche se penso che Marco e soci dovrebbero mantenere Nichel e aprire una collana italiana diversa dove permettersi di pubblicare altro, diverso. Perché no una Carola Susani o altri autori che metterebbero volentieri il loro nome nel prestigio (magari è parola che non piace ma rende) di una casa editrice che ora è molto molto di più della casa che pubblicò/a Carver e i migliori americani. A proposito ho finito il dono (compri due) del libricino di Dave Eggers “Se non è vietato è obbligatorio” che è no straordinario dono per il decennale MF con una scena da creparsi di ragazze che gonfiano palloncini cercando di dargli forme strane per assecondare le manie cattive di ragazzini prezzolati dall’altro concorrente politico.

Marina Cvetaeva per il buongiorno: ”Trentesimo anniversario!d’una unione – più sicura dell’amore./ Io le tue rughe conosco/ come anche tu – le mie,/ delle quali – non sei tu – l’autore?/Tu che quinterno su quinterno hai divorato,/ e hai insegnato che non c’è – un domani,/ che solamente l’oggi – esiste.”
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Di Carvelli (del 31/07/2004 @ 10:19:02, in diario, linkato 896 volte)
Ecco dimenticavo. Piccoli aggiornamenti style. Letti anche in inglese. Taccuini. Chin8 Neri come piacere. Le cose che cambiano.
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