Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ho rivisto NON COMMETTERE ATTI IMPURI, episodio del Decalogo di Kieslowski. E' incredibile alle volte quanto in questo regista polacco apprezzi quello che non sembra invitato ad essere apprezzato. In genere non ne amo i finali né le premesse. Motivo per cui ho amato più Film Bianco di Film Rosso e Film Blu. Motivo per cui spesso non amo i film a tesi. Atti impuri (che forse vorrebbe essere una stigmatizzazione dell'amore autoreferenziale...la prendo come una metafora alla lontana ma alla fine è forse proprio questa, la metafora e non quello che ha da dire, il centro della questione) è la storia di una ragazzo che fissa una donna - decisamente non parca di incontri amorosi - dal suo (della madre di un amico che partendo gli ha lasciato le consegne) appartamento con un cannocchiale. Poi si decide con tanta timidezza a conoscerla. Viene preso in giro. Quando la donna accetta il corteggiamento e ricambia come sa il ragazzo scappa spaventato. Si taglia le vene. Scompare (sì vi ho raccontato tutto il film!). Mentre si compie questa tragedia personale la donna compie la sua: sapere di non essere guardata, aver perso uno sguardo su di sé, la spiazza. Forse è innamorata. Forse non può più fare a meno di sapersi ammirata. (Qual è l'atto impuro? Può forse essere anche quello della donna? Può essere il chiamare l'amore senza ragione, come un pretesto inultile, disturbarlo per nulla?) Torna il ragazzo nell'ufficio postale in cui lavora. Lei lo fissa. Lui, con molta semplicità, senza rispondere a nessuna domanda, dopo un lungo silenzio le dice "Ho smesso di guardarla". Ho ripensato a una parte poco citata de Il piccolo principe di Saint Exupery. E' quando il principe gira tra i pianeti. Ricordate? Il bevitore che dice di bere per dimenticare la vergogna di non riuscire a smettere (che sunto perfetto delle dipendenze), il re con l'ingombrante ermellino che occupa per intero il suo pianeta e - quasi collegato - il pianeta del vanitoso che (espiazione dantesca - come forse vuole essere il ciclo visivo dello scrittore) è condannato a essere solo nel suo mondo. Al passante principe chiede ammirazione e quello si domanda ma cosa se ne farà. Ecco. Ho ripensato a quanto è spiazzante il vuoto della vanità. La vanità svuotata. La vanità da sola.
Il mio vicino di branda nella stanza dei caporali fu per molti mesi Pavel Pavlovic Kuznecov, un idraulico moscovita di trentacinque anni. Trentacinque anni è l’età giusta per violare la legge. E’ il momento in cui un uomo si convince, in cui scopre, come diceva Heine, “che sotto il peso della croce lordo di sangue si trascina il giusto, ovunque il disonesto con fama e onori è accolto”. E’ la logica che induce l’uomo onesto a commettere un crimine. Ma poiché il suddetto è poco scaltro, violata una qualche legge, non riesce a svignarsela, e allora vien preso, processato e condannato a un periodo di detenzione dopo il quale non c’è ritorno nella società”.
Varlam Salamaov – Visera – Adelphi
Leggete e fate leggere questo libro. O ancor prima I racconti della Kolyma (stesso autore-stesso editore).
La stanza è piccola e sa di sudore. L'uomo, anziano, che la copre nella totalità con la sua pancia mi fissa estasiato. Chiama la mia figura gioventù con un errore di calcolo. Gli faccio notare lo sblanciamento della valutazione. Accende il condizionatore e inizia a parlare. E' penombra ovunque anche nelle parole poco chiare che dice. In silenzio lo ascolto. E' tardi adesso, dice. Non so se pensando ad altri appuntamenti o come una constatazione generale. Ci salutiamo senza essere arrivati a nessuna decisione. Penso che la vita è fatta di tanti di questi rallentamenti ma se provo a ricordarne un altro non riesco. Questione di gioventù, mi dico.
Di Carvelli (del 17/09/2010 @ 10:24:46, in diario , linkato 993 volte)
Ieri su laRepubblica ho letto questo estratto dalla conferenza che terrà a Modena Zygmunt Bauman. Il perro era intitolata sul giornale La società dell’incertezza (traduzione di Daniele Francesconi).
"...oggi siamo tutti "individui per decreto", cui si ordina, presupponendo che ne siamo capaci, di progettare le nostre vite e di mobilitare tutto ciò che serve per perseguire e realizzare i nostri obiettivi di vita. Per la maggior parte di noi, tuttavia, questa apparente "acquisizione di capacità" è in tutto o quanto meno in parte una finzione. La maggior parte di noi non possiede le risorse necessarie per innalzarsi dalla condizione di "individui per decreto" al rango di "individui di fatto". Ci mancano la conoscenza necessaria e la potenza richiesta. La nostra ignoranza e la nostra impotenza nel trovare e attuare soluzioni individuali a problemi socialmente prodotti hanno come esito perdita di autostima, vergogna per essere inadeguati di fronte al compito e umiliazione. Tutto ciò concorre all´esperienza di un continuo e incurabile stato di incertezza, cioè l´incapacità di assumere il controllo della propria vita, venendo così condannati a una condizione non diversa da quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo, direzione e intensità sconosciuti".
Mi è rivenuto in mente qualcosa che ho letto nei giorni precedenti sulle nuove malattie del narcisismo, sulla paura dell'inadeguatezza, la scoperta dolorosa dell'inadeguatezza che giustifica molte nuove sindromi della nostra epoca. Lo scoprirsi meno dell'immensa possibilità che ci viene propagandata come possibile. E' come se al giro degli anni, al crescere, la scoperta della fine di un sogno di possibilità sia diventata più dolorosa nei termini dell'Ego disabituato alla sconfitta, impreparato al fallimento perché nutrito della possibilità. E questo è un discorso che in questo momento mi è molto caro e mi interessa.
Possibile che uno faccia gli stessi gesti di venti anni fa? Che venti anni non abbiano creato una discontinuità? Forse sì. Mi domando cosa serva per cambiare piccole abitudini distratte come toccarsi in un certo modo la bocca o piegare la testa da una parte. Forse serve qualcosa che rompa in maniera definitiva un codice naturale. Qualcosa di innaturale.
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Ennesimo brutto film. Ama mangia prega. C'è qualcosa di imperativo che già mi disturba nel titolo. L'aria manichea è riaffermata nella quasi studiata successione dei verbi, delle azioni. L'episodio (ma non è un film a episodi) più brutto è "mangia" che è ambientato in un'Italia-macchietta. Una mancanza di mezzi tecnici fa trasalire il mio cinema alla visione di tanta romanità sciatta. Quasi un orgoglio. Si salvano alcune meditazioni sulla meditazione (cose ben dette anche se fuori contesto sembrano a barzelletta anche queste). Alcune cose dell'amore. Alcune. L'amore è ipotetico o affermativo? Entrambe. O: un po' e un po'. Ho visto la risposta a pag.46, invertendo la copia del mio giornaletto. Dunque, ancora un brutto film su cose belle. Alla fine solo un po' di fame, solo un piccolo languore alimentare a casa sparito. Beh anche qualche idea a prescindere sull'esatta successione degli imperativi (con un po' di ipotesi). Mangia prega ama è la mia risposta ma la soluzione è sul prossimo numero. Se ci sarà un prossimo numero.
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