Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
"Anche nelle persone c'è sempre una parte di mistero, di cui però non dobbiamo avere paura. Se amiamo veramente qualcuno, dobbiamo accettarne anche la dimensione enigmatica". Così Patrick Modiano, scrittore francese a Fabio Gambaro in laRepubblica di sabato scorso.
Dopo averlo letto ho pensato anche che il discorso si possa riflettere all'interno. In definitiva non possiamo non amare la nostra stessa dimensione enigmatica - una mia amica direbbe il nostro demone - la nostra problematicità. O quantomeno non dovremmo temerla, evitarla. Pena una lotta perenne con noi stessi, un disaccordo insanabile.
Che ne è delle nostre mani? Cosa di loro, del nostro secondo volto, come lo chiama Etty Hillesum nei suoi diari?
Vedendo ieri un film che mi è stato prestato, The Hunger un film del 1983 di Tony Scott con Bowie, la Denevue e la Sarandon mi è ritornata in mente una pagina dei diari di Etty Hillesum in cui riflette su quello strano miscuglio tra estraneità e intimità insita nell'eros. Il film devia sullo zombismo ma alle spalle c'è questo cannibalismo vicendevole dell'amore, nel film anche in salsa saffica e comunque (p)ossessiva. Come se fosse una metafora di questa attrazione/fascinazione per lo sconosciuto. A questo proposito la Hillesum citava Rilke. Lo rifaccio: "E sentì stranamente uno straniero dire / Io sono con te".
Ho finito di leggere Mao II di Don DeLillo. Inutile dire la continua sorpresa rappresentata da questo autore. La sua intelligenza, la capacità di arrivare a più livelli. Dalle suggestioni alle illuminazioni. Alla semplicità intensa e assoluta che reggono tutte le frasi dei suoi libri. Alle volte sembra di leggervi dentro le soluzioni di enigmi inspiegabilmente lunghi. Risposte inspiegabilmente brevi. Fulminanti. La domanda che avevo da qualche giorno è perché si litiga sui fatti. Perché passiamo o sprechiamo tempo a trovare un punto in comune su fatti che ci riguardano (che riguardano noi e altri quanto noi o di più o di meno, non so). La domanda che avevo non era una domanda precisa come questa che segue non è forse una risposta precisa. E comunque è di DeLillo, è nel suo libro che vi consiglio, che consiglio soprattutto a chi scrive con alterne fortune, attuali e future.
"Ciò che abbiamo di fronte a noi rappresenta una cosa. Il modo in cui l'analizziamo, la descriviamo e la codifichiamo è qualcosa di completamente diverso".
Ho iniziato a leggere Vita e destino di Vassilij Grossman.
Pauso la mia lettura di Grossman con questo libro (forse il solo che non ho ancora letto di Peter Bichsel ovvero Il lettore, il narrare - Marcos y Marcos). Che torna curiosamente al filo srotolato ieri sulla realtà, i fatti, il loro racconto. Scrive Bichsel:
Mentre racconto delle storie, io non mi occupo della verità, ma delle possibilità della verità. Finché ci saranno ancora storie, esisteranno ancora delle possibilità. Perciò la domanda che si fa al narratore di storie, se cioè la sua storia sia vera o no, si basa su due errori. Il primo consiste nel credere che esistano storie che non contengono verità. In linea di principio, non si inventa nulla, perché la fantasia umana è limitata da tutto quanto esiste. In fisica si parla di leggi naturali: per il narratore di storie non saprei come chiamarle. Il secondo errore sta nel pensare che la lingua possa rendere ciò che veramente esiste; infatti, essa può solo cercare di descrivere la realtà.
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