Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Mi hai visto ridere, piangere, sperare, perdere e vincere. Mi hai visto da lontano. Poi, da vicino. Ti sei fatta un'idea. Un'idea sommaria. Da cui hai ricavato una tesi. Sommaria, pure quella. Non so se fosse giusta o sbagliata. Era quello che avevi visto e ci si fa sempre un'idea partendo da quello che si vede. Non si calcola mai la resistenza del vento e altri fattori di disturbo, influenze. Alla fine di tutte le tare rimane quel che si vede. Di cui ci si fa un'idea. Sommaria, forse. Ma mi hai visto e hai visto cose che altri non hanno visto. La tua idea è comunque un'idea di me. Che forse serve anche a me. O no.
Di Carvelli (del 08/07/2013 @ 10:35:20, in diario, linkato 2068 volte)
Dove l’acqua con altra acqua si confonde di Raymond Carver
Adoro i torrenti e la musica che fanno. E i ruscelli, nelle radure e nei prati, prima che diventino torrenti. Forse li adoro soprattutto per la loro segretezza. A momenti dimenticavo di dire qualcosa sulle sorgenti! Può esserci una cosa più meravigliosa di una fonte? Ma anche i grandi corsi d’acqua hanno il mio cuore. E i luoghi in cui confluiscono nei fiumi. Le foci aperte dei fiumi che sboccano nel mare. I luoghi dove l’acqua con altra acqua si confonde. Questi luoghi mi si stagliano nella mente come luoghi sacri. Ma questi fiumi lungo la costa! Li amo come alcuni amano i cavalli o le donne affascinanti. Ho un debole per questa acqua veloce e fredda. Mi basta guardarla perché il sangue scorra più veloce e un brivido mi percorra la pelle. Potrei starli a guardare per ore questi fiumi. Non ce n’è uno che somigli a un altro. Oggi compio quarantacinque anni. Chi ci crederebbe ora se dicessi che una volta ne avevo trentacinque? E che avevo il cuore freddo e vuoto, a trentacinque anni! Sarebbero passati altri cinque anni prima che ricominciasse a scorrervi del sangue. Mi prenderò tutto il tempo che voglio oggi pomeriggio prima di lasciare questo posto accanto al fiume. Mi piace amare i fiumi. Amarli a monte fino alla sorgente. Amare tutto quello che mi fa crescere.
Di Carvelli (del 01/09/2013 @ 10:01:25, in diario, linkato 1155 volte)
A quasi dieci anni di distanza dalla sua prima edizione, è in libreria una riedizione riveduta, aggiornata e arricchita del mio libro PERDERSI A ROMA per Iacobelli editore. Posto qui la scheda editoriale del libro e l'anticipazione uscita sulla prima pagina dell'inserto cultura de Il Messaggero del 13 agosto contenente estratti dall'intervista a Vincenzo Cerami, venuto a mancare mentre eravamo in stampa, e a cui idealmente dedichiamo il libro.
Ieri sera ho visto l'Intrepido e non mi è piaciuto. Il film è lungo, svagato e decentrato anche se apparentemente concentrato su un protagonista e un tema. Il protagonista (il film è quasi una monografia, se possiamo dire così), infatti, non è credibile e pur molto pennellato da tanti tratti fatica a trovare un disegno compiuto e una prospettiva. Un protagonista in-credibile e (ne comprendiamo le ragioni) volontariamente monodimensionale non riesce ad assurgere ad eroe picaro e “semplice” di questa black comedy come, sembra, nelle intenzioni del regista. Il tema del lavoro precario non svetta, non spicca né si approfondisce rimanendo la sola intuizione di un disagio su cui (com)piangere. Forse avrebbe parlato di più attraverso un documentario e la vita vera (non compatita) di chi ci sta in mezzo senza fiaba triste. Viene sfiorato e lasciato lì l’unico tema relazionale di qualche interesse: il (non) dialogo (anche sentimentale) tra le generazioni. Il pur bravo Albanese, affiancato dalla brava antagonista si dà un gran da fare nel trasformismo del cambio d’abiti e nella perdurante naivete ma senza clamori. Tante le macchiette, qualcuna un po’ più riuscita (il truce caporale mangiafuoco). Tento di trovare una correlazione con il precedente bellissimo film di Amelio da Camus e mi convinco che per me il miglior Amelio (a parte l’eccezione del Ladro di bambini) è quello del mettitore in scena. Alle sue spalle un’ampia tradizione di film bellissimi come Porte aperte da Sciascia). Insomma questo regista è più vero e risolto quando ha una trama ben scritta, un’idea già delineata. Eppure ha un bellissimo sguardo personale, trasversale sulle città (qui la Milano in reload verso l’expo) – aiutato in questo caso dall’occhio di Bigazzi – che però separato dalla trama finisce per lasciarsi alle spalle tutto il bello che inutilmente fotografa in una patina di ipermodernismo grigio e vuoto di sentimenti.
Spettatori in sala: 11 (ultimo spettacolo) Costo del biglietto: 8€ Tempo: serata calda e cielo sereno
Nel numero della settimana passata di La Lettura del Corriere della Sera c’era una interessante recensione da Chatting with Henry Matisse, conversazioni con Pierre Courthion (Paul Getty-Tate Modern Edition). C’era anche un estratto dal chatting. Un brano proprio del detto Matisse. Ne trascrivo parte così come l’ho letta, sperando vi possa fare buon sangue. “Per un pittore esordiente, la vita è difficile. Se è impegnato, si troverà totalmente assorbito dall’oggetto della sua ricerca e non sarà disposto a fare quadri che solleticano il gusto dei collezionisti. Se invece punta al successo, lavora con un’unica idea in mente: dipingere ciò che chiede il mercato e vendere. Però, così facendo, perde il sostegno della sua coscienza e finisce con il dipendere da quello che pensano e sentono gli altri. Trascura i suoi talenti e prima o poi è condannato a perderli.
Per noi il problema era semplice: non c’erano compratori. Lavoravamo per noi stessi. Facevamo un mestiere che non ci offriva speranza. E così sapevamo divertirci con molto poco. Forse anche i naufraghi su un’isola deserta trovano la situazione divertente, tutti i loro problemi sono cancellati. Non resta che ridere, raccontarsi barzellette e intrattenersi. I pittori? Come potevano pensare di vendere qualcosa? C’era un’unica possibilità, il Prix de Rome. I pittori erano anime smarrite. Oggi troviamo collezionisti pronti ad acquistare anche esordienti. Ma in quei giorni, su Quai Saint-Michel, dopo un decennio di fatiche, non sono riuscito a vendere nulla per tre anni. Eppure avevo già conosciuto qualche successo”.
Ho visto To be or not to be e non poteva non piacermi. Perché è un piccolo capolavoro passato alla storia della cinematografia mondiale. E quindi non è una notizia che mi sia piaciuto. Tra l'altro tardivamente dato che è qualche mese che imperversa sulle bocche di nostalgici del buon cinema e sparuti frequentatori di sale che siamo rimasti. La notizia è che è stato restaurato. La notizia è che questa commedia degli equivoci di Lubitsch non ha perso il suo fulgore vivace. Funzionano le trovate. Funziona quella ingenuità della commedia "dolce". Straordinaria la capacità di fare ironia sulla storia. E che storia! Bravissimi gli attori. Posso aprire una parentesi? Ho sentito un sì. (Ho solo io l'impressione che anni fa mentire fosse un sentimento così preciso e definito da sembrare virtuoso anche, per dire, nella sua patina di sfumata finzione che dopo di allora mi sembra aver perso trasformato in una cosa troppo seria e poco disposta allo smargine e al gioco?). A Parigi di questi tempi imperversa il restaurato Hiroshima mon amour (arriverà anche da noi?). E trovo bella questa idea che sempre più spesso se resistono le nostre sale (anche quelle non d'essai) sappiano alternare modernità e contemporaneità. Con una sequenza da sussidiario (non mi importa di essere reputato uno stupido, tanto accade già).
Spettatori: circa 50 Biglietto: 5€ Tempo: quasi piovoso
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