Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sabato ho comprato Club Midnight di Charles Simic. E ho comprato e regalato (ma prima ho letto) Roberta Dapunt e il suo La terra più del Paradiso. Ieri sera ho finito di leggere La versione di Barney e stamattina ho riletto un po' di Martin Buber. Come se fossi un lettore a cottimo. Mi servo dei libri a piccole dosi. Me li somministro come l'omeopata del mio poco tempo mi destina.
Charles Simic
Letti disfatti
Amano le stanze ombreggiate, le carte da parati consunte, le crepe nel soffitto, le mosche sul cuscino.
Se ti viene la tentazione di allungarti, non essere sorpreso, non farai caso alle lenzuola sporche, al raschio delle molle arrugginite mentre ti metti comodo. La stanza è un cinema buio dove si proietta una pellicola sgranata in bianco e nero.
Un’immagine sfuocata di corpi svestiti nel momento della dolce indolenza che segue all’amore, quando il più malvagio dei cuori arriva a credere che la felicità può durare per sempre.
Traduzione di Nicola Gardini
Charles Simic Club Midnight A cura di Nicola Gardini Adelphi Edizioni 2008
Avere da dire
di Roberto Carvelli
A completamento di lettura delle 457 pagine di cui si compone, dei 19,50 € necessari per l’acquisto del nuovo libro di Hanif Kureishi (Ho qualcosa da dirti, Bompiani) rimane l’impressione di un viaggio utile per non dire necessario. Un viaggio istruttivo e di gradevole compagnia. Il titolo non suona pretenzioso, tutt’altro: avvalora l’intenzione di scrittura, la necessità e la capacità affabulative e una confidenza non strumentale. Il protagonista è uno psicanalista di successo autore di libri felici (Sei personaggi in cerca di cura è un suo esemplare titolo) che condivide la massima “Il nostro compito è di guarire anche chi sta bene”, i suoi amici, il passato che torna a ravvivarlo e tormentarlo, l’Inghilterra guerresca e dedita al facile profitto nel nome del laburismo. L’autore anglo-pakistano ci ha abituato negli ultimi libri – ma si potrebbe dire dagli esordi – alla varietà dell’ispirazione con scarti spesso apparentemente spiazzanti (penso a Il corpo). Kureishi scrive come un classico e pensa come un contemporaneo. S’intuisce che le mosse le prende sempre da temi vivi e da una mai banale anche se schietta considerazione degli stessi. In questo libro gli ingredienti sono le relazioni umane nelle loro multiformi varietà. Figli che somigliano con dispetto ai loro genitori che si disprezzano e si conoscono per mezzo loro, amori interrotti e ripresi e rinterrotti, amicizie da registrare di continuo, parentele che mettono a dura prova affettiva (il padre assente del protagonista e la sorella piena di stridenti sfaccettature): il libro di Kureishi è popolato di lati umani comuni ma non per questo fa il gioco facile delle strizzatine d’occhio al lettore. Persino il sesso (anche sotto la specie dell’incesto) che campeggia spesso nelle pagine, non sta lì per prurito ma per realistica osservazione e meditazione causale ed effettuale delle complessità umane.
In ultimo, il libro dello scrittore londinese si può considerare un proficuo viatico all’analisi dei nostri tempi complessi e difficili (ma stimolanti per vivacità) scritto con la giusta presenza e una leggerezza nel fondo che potremmo definire karmica, cioè comprensiva della continua e sempre possibile trasformazione nella lotta eterna tra Bene e Male (nelle pagine c’è sempre l’idea che nulla è definitivamente perduto e non per stolta speranza). La citazione nel testo dal Purgatorio dantesco non è presuntuosa né casuale – pensiamo – bensì orientativa. Dei tanti viaggi possibili quello di Kureishi per congruità può in senso lato qualificarsi come un confronto – nelle motivazioni – non equivoco nella zona di mezzo della nostra bipolare (e per questo a volte percepita come tormentosa) esistenza.
Qui (sul nostro friendly ZoeMagazine)
Uno dei termini della annosa questione di Roberto Carvelli
Tuttavia c’è una differenza tra un Budda e un comune mortale, in quanto un comune mortale è illuso mentre un Budda è illuminato. Il comune mortale non sa di possedere sia l’entità che la funzione dei tre corpi del Budda. Nichiren Daishonin (monaco buddista XIII secolo)
Del Buddismo mi hanno sempre colpito i termini semplici della questione. Sofferenza e gioia, felicità relativa e assoluta. E, last but not least – anzi, forse, addirittura, first –, illusione e illuminazione. Un binomio antitetico che mi sembra funzionale alla spiegazione di tante cose della annosa questione che chiamiamo Vita (e suo funzionamento). E altrettanto funzionale mi sembra l’innato fronteggiarsi tra Bene e Male ma non in termini così bianco e nero, né diavoloni incazzati e cherubini boccoluti ma solo un opportuno contendersi di estremi entrambi utili come a dire che un match è bello se è combattuto e non se stravince una squadra o un singolo. Che per vincere servono ostacoli da sfidare, sfide personali, traguardi senza per questo cadere in una Olimpiade continua e fiaccante e, soprattutto, fine a se stessa. Illusione e illuminazione – per tornare alla coppia che c’interessa – sono due parole per noi tra l’altro lessicalmente anche vicine e questo può essere un aiuto anziché no. Perché vicine lo sono pure funzionalmente. Come se a separarle fosse solo un piccolo scarto, un click che invece è un bang, anzi un big bang. Eppure il big bang è solo un effetto. Una conseguenza straordinaria di un evento piccolo che è il gesto di allungare la mano verso un interruttore e accenderlo. Il modo in cui si passa dall’una all’altra è solo davvero il click di un interruttore, e il gesto di accenderlo che è quello che ci riguarda. E questo, diciamocelo, non è un fatto inessenziale. E’ anzi un determinismo piacevole: non è da poco vedere che una cosa che fa la differenza sta lì a un passo, che se allunghi la mano e pigi quel tastino la visione delle cose su cui prima avevi visto appena ombre mostra figure nitidissime.
E i termini della annosa questione sono anche comprensibili. Quante volte – e quelle erano o ci sono sembrate coincidenze fortunate – una cosa ha cambiato di aspetto al verificarsi di un’altra? Una cosa in apparenza sfigata si è mutata in una cosa felice? Ci sono da sempre cose che acquistano una loro logica al verificarsi (anche al subitaneo verificarsi) di un’altra e questo, si diceva, è un congegno fortuito. Ma questo congegno si può anche provare a determinarlo. Cioè si può, a buona ragione, accenderla questa luce su cose non spiegabili. Ovviamente siamo nel campo delle semplificazioni ma non delle banalizzazioni, come qualcuno potrebbe obiettare, perché le cose stanno effettivamente così, anche se questo “così” non dice come si faccia ad allungare il braccio e a pigiare il tasto. E allora mettiamola così che il Buddismo non è altro che una ginnastica a esercizi per braccio che si allunga e pigia. Il gesto di una educazione fisica apparentemente trascurabile e aspecialistica che alla lunga crea un’abilità semplice (che può sembrare stupida) ma che invece serve a fare di una annosa questione una quotidiana felice celebrazione. Che è poco ma è anche quello che serve, a pensarci bene.
Un'aria effervescente ci inonda. Qui come altrove sembriamo bagnati da un'atmosfera gioiosa. Quasi risolutiva. Per molti messianica. Quella di un nero alla casabianca, di uno che ce l'ha fatta da solo e insalita. Forse anche noi abbiamo un dream. Il dream di uno che si sobbarchi tutte le nostre crisi, le problematicità che ci circondano, come un Superman. Ecco Obama sembra incarnare il nostro Clark Kent. Un segno sulla scheda e sarà supereroe. Un segno e tutto passa. Ma sarà difficile che si realizzi solo così. Forse serve un leader, uno che sappia ridare un clima di fiducia in se stessi e negli altri e il discorso post-elezione di Obama sembrava lanciare questo sasso. Un dream è un dream: può diventare un progetto se all'aria "nuvoletta" si sostituiscono azioni in una cornice (le nostre). In definitiva ci basta qualcuno che ci dia una cornice, un foglio, dei colori. In definitiva un patto che ha bisogno di una coerenza per mantenersi senza annacquarsi di delusioni. I suopereroi passano, gli uomini restano: basta non demandare al mondo della fantasia le nostre frustrazioni. Solo così non finirà in nuvolette.
Si diffonde la piaga dell'obamismo. Italia in festa, Roma in festa, USA in festa. L'obamismo - contrariamente alle preoccupazioni della prima ora - pare non renda ciechi. Salvo effetti collaterali successivi. Quindi si continui la festa personale di avere un nero alla casa bianca
Vorreste essere a Roma dove fa ancora caldo, la giornata è nitida, luminosa, e noi siamo allegri, sbrighiamo le faccende della casa canticchiando, portiamo i bambini al parco, ci fermiamo su una panchina a leggere in maniche di camicia il giornale, guardiamo insistentemente una che ci corre lì a fianco, dopo risistemiamo i vestiti dei bambini tutti sudati e scomposti. Vorreste, no?
Di Carvelli (del 31/10/2008 @ 16:40:55, in diario, linkato 1302 volte)
Toro (20 aprile - 20 maggio)
Non devi essere quello che non vuoi essere, Toro. Per favore, leggi di nuovo questa frase, bevila come se fosse l'elisir che avresti voluto bere da quando avevi 13 anni. Ecco alcuni corollari: non sentirti in dovere di essere all'altezza delle aspettative degli altri; non ti sforzare di raggiungere un tipo di perfezione che non ti interessa; non obbligarti a credere alle idee che ti intristiscono o ti infastidiscono, né a provare le emozioni che gli altri cercano di farti provare. Sentiti libero di essere esattamente come vuoi. Festeggia Halloween travestendoti dalla persona che finora hai tenuto nascosta.
Il solito Brezsny
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