Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 21/11/2006 @ 14:47:08, in diario, linkato 1508 volte)
"Non so se gli animali hanno un’anima, ma di sicuro non penso che siano solo oggetti viventi. Quando metto in queste situazioni ho il dubbio che stiano vivendo l’esperienza dell’opera d’arte. Secondo me un’opera non ha bisogno che chi la vede conosca l’arte, o abbia la coscienza di stare guardando un’opera d’arte, l’opera funziona comunque. E quindi ho il dubbio che questi animali abbiano visto un’opera d’arte".Così Paola Pivi a Laura Cherubini. Approfondisco e scovo un'intervista del Macro. Qui.
Dall'altra parte della porta c'è una recita perfetta di andature. Il passo è al corpo e al grado. Il passo è il corpo e il grado. Non tutti i gradi corrispondono al corpo. E viceversa. Per fare una regola o una legge servirebbe un incrocio di varianti ed è un tabella che ancora non ho fatto.
"Alfine liberato, dopo la vittoria con Nadal, dalla impotentia tennistica parziale, Roger Federer ha di fatto sodomizzato il suo sventurato avversario, James Blake". Così Gianni Clerici tributando il giusto onore al tennista svizzero. E' bello sapere che Wong Kar-wai sta per uscire con un nuovo film in cui si parte da una Norah Jones piegata su un tavolo con il baffo di panna di un dolce appena consumato (perché mai inizi così dolci nei film?). E le performance artistiche di Paola Pivi in un'intervista interessantissima in cultura: peccato non essere a Milano e vedere di persona... e non saperne di più...(qui sotto Paola Pivi - cover#3 dalla Fondazione Nicola Trussardi)
Di Carvelli (del 20/11/2006 @ 08:33:11, in diario, linkato 1203 volte)
Credevo che i termini della questione fossero tutti lì. La morte. Credevo che la morte fosse, appunto, il termine della questione nel senso doppio della fine stessa e della spiegazione della fine. E, in effetti, non sbagliavo. Non credo che sbagliassi. Ma non bastava. Qualcosa mi diceva che non bastava, che c'era altro. Dopo, ho pensato che si muore anche quando si è distratti dalla vita, quando non si ha abbastanza attenzione alla vita. Successivamente che si muore quando non si uccide qualcosa o qualcuno che ci uccide anche lentamente o che ci distrae dalla vita, dalla miglior vita. E, per esempio, che muore Mario se non uccide la faciloneria, Cristina se non elimina la paura, Rita se non uccide la madre (non in senso letterale, no, per carità!), Luca se non elimina (almeno in parte) i suoi soldi (non nel senso di spenderli: già lo fa e non sarebbe un vero eliminarli) Pietro se non fa fuori l'arroganza, Roma se non elimina il traffico, l'occidente se non fa fuori la guerra e prima ancora l'interesse, il bisogno di dominio, il senso di superiorità, le religioni se non cancellano il loro assolutismo, il pianeta se non uccide l'inquinamento...e così continuando. Insomma, ognuno deve uccidere qualcosa o qualcuno per continuare a vivere o solo per vivere veramente bene che è lo stesso. Questo pensiero mi lascia un po' sospeso, mi dà serenità ma un po' mi fa soffrire e - penso - mi uccide. Ma non è così - penso poi - è la paura di non farcela (ad eliminare quello che ci fa soffrire) che mi uccide e decido di farla fuori.
Di Carvelli (del 17/11/2006 @ 09:01:25, in diario, linkato 2044 volte)
Forse non è neppure mio. E infatti ad annotarlo c'è una scrittura altra. Di chi, non so dire. Il libro L'altrui mestiere (Einaudi) è di Primo Levi che non è uno scrittore mio. L'ho letto tardi e, ovviamente (ma come faccio a saperlo?!), non mi ha fatto quell'effetto che deve fare sui banchi di scuola, all'età delle cartelle e delle merende. L'altrui mestiere è il titolo della raccolta di scritti e il primo è La mia casa che così mi fa riprendere il discorso di ieri. Inizia così: "Abito da sempre (con volontarie interruzioni) nella casa in cui sono nato: il mio modo di abitare non è stato quindi oggetto di una scelta". Poi: "la mia casa si caratterizza per la sua assenza di caratterizzazione". Ed è questo un tema con cui già mi sono confrontato in Kamasutra in Smart e anche fuori). Levi parla di Torino e di una casa da cui ma si è spostato. Non ci sarà di sicuro un giusto e uno sbagliato dell'abitare e c'è di sicuro una gamma di sfumature e di scelte tra un luogo e un altro. Il pezzo di Levi si conclude così: "Abito a casa mia come abito all'interno della mia pelle: so di pelli più belle, più ampie, più resistenti, più pittoresche, ma mi semrbrerebbe innaturale cambiarle con la mia".
La prima musica che ci ascolterai. Le prime parole dette, le prime sussurrate. Il primo rumore. Lo strillo numerouno. L'odore del primo sugo. Alla fine una casa è una storia d'amore.
"Cinquanta centimetri vi separavano. Con la mano, allungandola, avresti potuto prenderla per la vita e avvicinarla a te. Lei avrebbe potuto sciogliere la cinta dell'accappatoio e sconvolgerti con la bellezza del suo corpo. Vi sareste presi con violenza. Con insaziabile desiderio. Dopo, ci sarebbe stato un dopo. Trovare le parole. Parole che non esistono. Ma poi, l'avresti persa ugualmente. Per sempre. Perché te n'eri andato. Senza un arrivederci. Senza un bacio. Ancora una volta". Rileggo di nuovo CASINO TOTALE di Jean-Claude Izzo. Con l'emozione di chi scopre che (alle volte è solo un retropensiero), di come un grande libro possa essere (sembrare) un libro di genere. Potrei fare altri nomi, dire di altri grandi autori erroneamente creduti di genere...Rileggere poliziesco o fantascienza alla luce di certa autorità. Autorialità. Ma non lo faccio. Preferisco pensare alle tante occasioni perdute. Ai gesti fatti senza un seguito. Ai gesti mai fatti e che mai faremo o avremmo fatto. E che non facciamo. Ancora una volta.
Ieri, non si dice gli anni ché erano tanti, il mio (non il mio) compleanno più numeroso. Ma poi niente sonno e così ho finito per fare il gioco dell'accendere e spegnere la luce e del leggere e non leggere. E nel gioco sono entrati la rilettura delle prime pagine de L'educazione sentimentale di Gustave Flaubert, quindi battello e fiume la descrizione di qualche personaggio e poco più e la (ri)lettura integrale di un racconto dalla prima raccolta di Giulio Mozzi Per la pubblicazione del mio primo libro (in Questo è il giardino). Di tutta questa dilazione del tempo (notturno) rimane una confusa ridda di parole e un pensiero. Il pensiero della lettura. Non credo di averlo mai scritto (ma se sì, mi ripeto) ma uno dei miei demoni più pericolosi è proprio la interruzione della lettura. E' un demone insidiosissimo che tende a fermarmi anche solo ad una manciata di pagine o righe dal fatidico (una volta si componeva alla fine del volume quasi sempre) FINE. E ho ripreso in mano Il corsaro Nero piange! di Riccardo Schwamenthal e Michele L. Straniero che è un libro della mia vecchia biblioteca dedicato agli explicit di romanzi famosi o meno. Tra tutte mi sono imbattuto nelle parole che chiudono Madame Bovary, così forse per esorcizzare il pericolo di questo demone della non-fine. "Recentemente ha ricevuto la croce d'onore" e mi ha fatto ripensare alla scritta finale di molti film che riassume il dopo della pellicola segnando le tappe importanti di uno sviluppo più spesso biografico.
L'unica cosa da curare è l'atteggiamento...se credi che ci sia un atteggiamento giusto e uno sbagliato ti sbagli. Nessuno di noi può dirsi dispensatore di quello giusto e fustigatore di quello sbagliato in quanto unico depositario dello stesso...L'unica cosa che c'è è un atteggiamento positivo e benefico e uno che ci danneggia. Ahinoi tutti siamo sotto il sole e sotto le ombre di entrambi... essere compagni amici persone che hanno cura delle altre persone vuol dire solo aiutarci vicendevolmente indicandoci quelli che in un momento ci sembrano soli e non sono o ombre e non sono...da troppo vicino le cose non si vedono...da troppo lontano pure...stai sotto alle cose ma non troppo...non troppo da non vederle più né troppo lontane da intravederle appena....è tutto un problema di visione...di avere la visione giusta...se io potrò ti dirò quando la tua visione (la tua posizione rispetto all'oggetto) è sbagliata e spero che tu farai altrettanto. Perché alla fine è solo che dall'esterno si vede meglio la visione.
Mi scrivi che la distanza ti ha curato. Che ora una città ti rende felice e libera e io continuo a pensare alle tue parole. Cosa ci cura? (mi domando) L'aria di un'altra città? Essere altrove? Rifugiarsi dove nessuno ci può trovare (proprio nel momento in cui ci inseguono tutti)? Ecco perché bisogna volere bene ai luoghi. Ecco perché bisogna avere cura delle case. Una casa, una città non sono solo un ricovero ma sono spesso una salvezza e i loro sacerdoti sono le guide, gli intermediari di questi santuari. Non esistono proprietari. Non delle case. Non delle città. I luoghi possono solo essere officiati, comunicati, messi in circolo, attraversati. Nessuno ne è detentore. E persino le case non sono altro che templi aperti ad un pubblico piccolo. Che qualche volta siamo stati noi quando ne avevamo bisogno.
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