Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Rileggo (?) "I palloni del signor Kurtz" da "Euridice aveva un cane" di Michele Mari ed è una perfetta metafora di questi giorni. I bambini giocano in una specie di libro Cuore e i palloni che calciano finiscono nel giardino del signor Kurtz che non li rende neppure sotto preghiere delle suorine ("Signorine"). A scavalcare e a scoprire il mistero ecco emergere lo strano collezionismo del signor K. (mi vengono in mente i racconti di Savinio). UN pallone, un vaso e una data. Anche l'aldiqua degli schermi televisivi di questi giorni ci urge un collezionismo di palloni mandati in tribuna e oltre fino ai nostri tinelli e salotti e cucine e monocamere...e sui vasi dovremmo scrivere i minuti più che i giorni. E allora noi che facciamo? Glieli ridiamo indietro oppure ce li teniamo in ostaggio questi palloni non nostri e non loro?
Balconi che sembrano consolati dell'Italia all'estero, piccoli comitati patriottici in quartieri polacchi della romana periferia. Mentre i muri lusingano il Sì e il NO con identico attaccamento al "fratellid'Italia" nazionale, l'11 di Lippi sta per affrontare la RepCeca. Mai come stasera, mai come domani e giorni prossimi l'italico patriota difende i colori della sua bandiera. Il bandierosterone è ormai in circolo vizioso. C'è da sperare che...
"Perché essere una ragazza se puoi essere una dea?" Così una pubblicità stamattina all'alba. Io riponevo il libro di ieri della Mansfield ("La passione della scrittura") e prendevo il Proust di "Sulla lettura". Mi attardavo sul passo in cui lo scrittore francese decanta il potere fantastico dei libri letti in età giovanile. Il fantastico determinato dall'atmosfera di quelle letture così lontane nel tempo e di quei generi così in voga per quegli anni e trasudanti colore e nuvole. Il Capitan Fracassa, per esempio, da cui legge: "Il riso non è per sua natura crudele; distingue l'uomo dalla bestia, e, come ben apparisce nell'Odissea di Homero, ellenico poeta, è attributo degli dei immortali e felici che ridono a sazietà risate olimpiche negli ozi eterni".
Un piede avanti all'altro e vanno a mensa o al bar per il caffè. Le parole sollevano il velo del niente della forma. Gratifiche e promozioni. Promozioni e gratifiche. Buoni e buoni. Mai buoni a nulla. Il mio grado. Il tuo grado. E' tempo di scrutini. Di promozioni o di previsioni. Ma fermarsi è più simile a retrocedere e molte cose vengono date per scontate. Tipo: meriti, demeriti, diritti, doveri. Un piede avanti all'altro e finisce la pausa-pranzo. Senza premi se non immaginari. Pensati. Prefigurati. Attesi.
Ogni tanto ci si apre un vuoto ed è come se fosse un piccolo squarcio di niente sul niente. Non è definitivo quello che pensiamo, né quello che scriviamo, né niente di quello di cui abbiamo avuto esperienza sinora lo è. Alla fine il tempo sta meglio sugli oggetti che su noi. Lì produce danni, lì segna enfasi o riprove. Meglio è quello che accade in un seminterrato, nell'estemporaneità di una metropolitana fuori dall'orario di punta. Noi, siamo unacartina muta: si vede tutta la nostra geografia di dolori o piaceri ma non se ne individuano tempi e cause e alla fine sembriamo un rebus senza numeri (e quindi senza parole). Meglio gli oggetti, meglio gli ambienti. Specie se vuoti. Meglio pensare così e andarsene in giro con questo mite proposito dell'inferiorità rispetto alle cose o solo un pareggio, un uguale, un come tutto il resto. Niente di speciale, insomma.
I quadri qui riprodotti sono di Andrea Chiesi (Modena 1966).
Nient'altro, tutt'altro: oggi parlavo così: per grandi partizioni di cose, deciso, definitivo, per insiemi compiuti. Domani sarò più indeciso ma forse poi risceglierò questo parlare per tutto e niente. Tutto e niente.
Fragole impastate con sapone come un dentifricio infantile. L'odore dei copertoni bruciati e poi la pila del fumo vista lontana. "Pagliericcio" una parola che ti piace. Iol ricordo di tre sabati fa: all'improvviso su via La Spezia (destino dei nomi) l'odore del mare. Tanti chilometri, forse poche macchine, la via che incava l'aria di Ostia...nessuna spiegazione ha ragionevolezza. L'odore della salsedine in piena città a chilometri dalla sabbia. Tutto questo fa felicità. Solo con il naso. Nient'altro.
Segnalo da www.ilpostodeilibri.it il prezioso lavoro di Gaja Cenciarelli e Angela Scarparo dal cui mi permetto di estrarre...
Le donne felici (almeno un po’) sono quelle capaci di fuggire, non quelle che stanno a casa.
Un’altra cosa che si scopre da parte di scrittori meno cattolici e più rivoluzionari (non ho detto più grandi, Dostoevskij è sì grande, ma reazionario, e non c’è nulla di male in questo) è che per essere felici bisogna fuggire dalla casa paterna. Bisogna rifiutarne la morale, il diritto. Questo ha in mente Mathilde de La Mole dopo che si è innamorata di Julien Sorel ne Il rosso e il nero, meraviglioso romanzo di Stendhal. O bisogna fuggire dalla casa del fratello conservatore e rompicoglioni, come fa Angela Pietranera ne La certosa di Parma. altro moderno romanzo stendhaliano. Angela che nella fuga, nella mancanza di denaro e in un quartierino a Milano riesce, se non a essere felice, almeno a starsene tranquilla. Sono tutte indicazioni precise, queste: indicazioni di vita, di morale, di diritto, di diritti, e quindi anche politiche. Così come è politico, quel personaggio di donna anziana creato da Dickens. Una signora settantenne, che passa il suo tempo in fuga, con una casa provvisoria, (la sua casa è dentro di sé, sembra dire!) raccattando (siamo nella metà dell’800) bambini abbandonati per spirito di solidarietà. E’ forte. Sa tutto E’ una della poche che (con quel senso di anticipazione tipico dei bravi artisti, Dickens descriva) mentre muore dentro una fabbrica dove ha cercato rifugio, ci racconti quanto di brutto e di disperante possa portare la rivoluzione industriale. Un’altra indicazione: Middlemarch, George Eliot. Una donna intelligente, istruita, bella e brava, nella casa del marito (istruito, ma noioso e borghese) trova la più completa fra le infelicità. Ma che bisogno aveva questa meravigliosa, di questo marito, ti viene da chiederti? E ancora: La lettera scarlatta, Hawthorne. La fuga imposta alla protagonista che ha fatto una figlia fuori dal matrimonio si rivelerà una fortuna. Passati i primi tempi, lei, attraverso il rapporto con la bambina, lei che ha rinunciato a una solida casa in Europa, si libererà della morale che le ha imposto l’esilio – che era anche la sua – per trovare qualcosa che assomigli alla felicità. Libera dai padri – c’è la storia di una delle prima colonie americane in questo libro – dal padre, dalla casa, dalle case. Con una piccola casa dentro di sé, per sé, per sempre. Perchè chi la casa ce l'ha dentro di sé per una volta assumerà un'abitudine a cui farà fatica a rinunciare.
Il resto in www.ilpostodeilibri.it/joyce_55.htm#1
Post-illetta mia
Mi affascina l'idea di animare l'inanimato o meglio di restituire l'anima (è un vero e proprio atto di risarcimento) agli oggetti. Forse è che non siamo più animisti, siamo troppo antropocentrici, siamo consumisti...boh magari c'è statto un atto che ci ha separato dalle cose. E non dev'essere stato come mangiare una mela vietata. Forse però ogni giorni degli atti ci possono restituire le cose e ci dobbiamo provare. Come se fosse una piccola missione verso quello che riteniamo senza anima (inanimato). E invece moriamo per aver respirato una sostanza, bevuto o mangiato cose che non ci fanno bene, investiti dalle macchine. O ci ammaliamo per le cose. Insomma forse bisognerebbe dire che "le cose non sono le cose". Forse.
Mi sono svegliato con delle parole nella mente. Potrebbe essere l'inizio di un racconto o la coda di un sogno. Le parole erano queste: "Deve essere successo qualcosa..." O: "Cosa è successo che ora noi non siamo più noi?" O: "Come è iniziato che adesso dove era amore sono odio e dolore." MI è sembrato un inizio di racconto. Come il dormiveglia di DONNE SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI in cui si mettono profeticamente in bocca all'uomo i pensieri della donna ("Ingannami...dimmi che mi ha sempre aspettato"...cito a memoria) ed è sogno ma anche realtà in un nastro contrario. Mi sono ricordato quel sogno tormentoso poi la sveglia il telefono... "Come è successo?" E mi sono tornati in mente i versi di Mattatoia (un talento che lavorando sul breve concentra dei piccoli universi da passeggio come gelati amari: se un giorno vedranno la carta il libro non potrà che essere con i manici) il cui blog redivivo consiglio vivamente intanto partendo dal passato http://mattatoia.blog.dada.net/ Due poesie. Questa
Una curva della voce
un andare per mano slegati,
ci deve essere stato
un battito di ciglia a destra
mentre io stavo a sinistra,
un respiro spezzato
qualcosa che non ho capito
E questa
E dunque è un addio, questo
che mi avvolge
le lenzuola
e mi porge
uova alla coque col sale,
triste come un regalo
che torna indietro,
un incartamento venuto male..
Di Carvelli (del 13/06/2006 @ 14:20:55, in diario, linkato 3857 volte)
Emendamento al precedente post/citazione da Blanchot dove si diceva "me ne pento" leggasi "me ne scuso". Il refuso è da imputare a questa peculiarità della mia scrittura sovente vituperata di vergare la s come una p (nel corsivo minuscolo). Provo a ricordare quando e perché e arrivo all'età di anni 12 o 14 credo per imitare la scrittura di...Ora non ricordo di chi...forse di Angelo Branduardi, mito di allora? Davvero non ricordo. Ma la s è rimasta tale.
Cito nuovamente:
"Sì ho parlato a troppa gente, oggi questo mi sorprende; ogni persona è stata per me un intero popolo. Un così immenso altro mi ha reso me stesso molto più di quanto avrei voluto. Adesso, la mia esistenza è di una solidità sorprendente; anche le malattie mortali mi giudicano coriaceo. Me ne scuso, ma è necessario che io seppellisca qualcun altro prima di me."
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