Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
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THIS BITTER EARTH BY CLYDE OTIS SUNG BY DINAH WASHINGTON
This bitter earth What fruit it bears What good is love That no one shares And if my life is like the dust That hides the glow of a rose What good am I Heaven only knows
This bitter Earth Can it be so cold Today you're young Too soon your old But while a voice Within me cries I'm sure someone May answer my call And this bitter earth May not be so bitter after all
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Non crede di aver sbagliato persona. Ma non parla di me ché non sono quello che dice. Non sono quello che pensa. Non mi riconosco nelle sue parole. Dico: non fidarti del tuo sguardo. Piuttosto domandati cosa vuoi vedere a prescindere da me. Lo dico perché tu possa trovarlo altrove. Non qui dove non c'è. Ma non c'è verso ed è probabile dunque che quel qualcosa c'è e che io non lo vedo. Un'ipotesi che non prendo in considerazione. O almeno non per via teorica.
Oggi 16 marzo Tonino Guerra festeggia i suoi 90 anni. Come qualcuno forse sa nel lontano 1992 mi laureai proprio con una tesi sulla sua opera narrativa - a cui di gran lunga si è sempre preferita quella poetica in dialetto romagnolo e cinematografica (è stato uno sceneggiatore di molti e importanti film) - e sulle dinamiche di scambio tra essa e la scrittura del film. Proprio da un film nacque il mio interesse per questo autore di Sant'Arcangelo. Non un film strepitoso ma da un soggetto che poi letto avrebbe fatto da carota per il mio lavoro. Era Il frullo del passero, di Mingozzi. Il plot era di Tonino. La storia di una giovane mantenuta che rimane senza protezione alla mote dell'amante e decide di accettare quella di un ottantenne che le chiede solo di ascoltare i suoi racconti. In un crescendo di realismo magico i racconti del vecchio anticipano le vicende d'amore della ragazza. Cito oggi una poesia - solo nella traduzione in italiano - molto bella di Guerra che è nella stessa raccolta di prose e poesie dal titolo Il polverone.
La farfalla
Contento proprio contento sono stato molte volte nella vita ma più di tutte quando ci hanno liberato in Germania che mi sono messo a guardare una farfalla senza la voglia di mangiarla.
Due citazioni da due libri e due autori che amo. Non casualmente sono rispettivamente una lettura notturna e insonne e una diurna e assonnolita. Dal Viaggio al termine della notte, la prima e da Le lettere, la seconda.
Mentire scopare morire. Avevano appena proibito di tentare qualcos'altro. Si mentiva con rabbia al di là dell'immaginabile, molto al di là del ridicolo e dell'assurdo (...) Così erano messi tutti. Si faceva a chi mentiva molto più degli altri. Presto non ci fu più verità in città. LOUIS FERDINAND CELINE
Fuggi da ogni grandezza: la vita nostra in una povera casa può andare oltre quella dei re e degli amici dei re. (...) la roba che non ci si adatta è come il calzare del proverbio che troppo largo ci inciampa e troppo stretto ci piaga. ORAZIO
E' una questione numerica, in definitiva. Penso. Magari non semplice ma, in definitiva, solo una questione di numeri. Ieri ho perso un guanto. I guanti, si sa, sono due. Come gli orecchini che però - la New Wave insegna - possono essere indossati pure singolarmente. Come le scarpe che invece è difficile che non siano due. I calzini. Tutte cose che vanno in coppia. Anche se è vero che esiste un guanto da lavoro singolo. Ma io ho perso un guanto da freddo (si può dire guanto da freddo? Forse no. Ma io ho perso un guanto da freddo: e questa è una questione lessicale, concedetemelo). Non come i pantaloni che sono uno. Come era bella mia madre quando mi diceva "ti ho stirato il pantalone". Nella sua infinita semplicità aveva risolto ogni contraddittorio scegliendo nel vocabolario la versione mono. Ieri sera, passeggiando attorno ai palazzi del nostro quartiere, io e S. e il suo cane R., io ho perso un guanto. Ora ne dovrei avere uno e invece lo ha S. che ha promesso di rifare lo stesso giro oggi con R. per ritrovare il secondo. Forse glielo darà da annusare e lo troverà lui, R. - oddio sto prendendo una deriva eccessivamente fantastica. Forse il secondo guanto non si troverà e a S. o a me rimarrà un solo guanto. Ma un solo guanto non funziona. Un guanto da solo non dura. Oggi penso a tutte le cose o le persone che dovrebbero essere due e invece sono uno. E non basta.
Mesi fa, anni fa (perdo la cognizione del tempo), una amica mi ha parlato di questo blog e io ne ho parlato qui. Poi è passato quel tempo che non sappiamo quantificare e quel blog di Vivi è chiuso e finisce con questo post che mi piace regalarvi.
Come mi sono ripromessa da molto tempo, voglio dedicare l'ultimo post a spiegare l'origine del titolo di questo blog. You still have the waves in your eyes.
Era il 2 Marzo dell'anno scorso. Erano passate due settimane da quando ero arrivata a Trinidad. Avevo appena cominciato in ufficio, avevo conosciuto i miei coinquilini, Camilla mi guidava un po' nelle piccole cose quotidiane, come scegliere l'operatore telefonico e evitare le strade nella parte est della citta'. Avevo arredato la mia stanza. Non avevo ancora visto il mare.
Domenica 2 Marzo sono andata al mare per la prima volta, a Maracas beach. Con Abinta, Camilla, un'amica di Camilla (che poi avrebbe fatto il corso di diritti umani con me in Costa Rica qualche mese dopo). E Mister K, che vedevo per la prima volta. Io e lui eravamo in macchina da soli, abbiamo chiacchierato e simpatizzato. Ero a bocca aperta per la bellezza della strada che attraversava tutta la Northern Range. Ho fatto il bagno nell'oceano, spingendomi troppo lontano. Ho mangiato il bake and shark. Io e K abbiamo fatto una lunga passeggiata, fino alla fine della spiaggia, oltre i pescatori. Al ritorno sono andata con Camilla nella sua rastamobile. E' stato un giorno fondamentale, uno di quelli che restano impressi nella memoria. Molte cose nuove. Molti inizi di cose importanti, vissuti senza rendersene conto. Il mio battesimo a Trinidad.
Quando sono tornata a casa ero felice, avevo le guance scottate dal sole. Finalmente avevo visto il mio tanto amato mare. Mas mi ha vista salire le scale saltellando, ha sorriso e mi ha chiesto. Dove sei stata, Vivi? Io ho risposto raggiante. At the beach! E lui, schermandosi gli occhi dal sole del tramonto, con un impeto poetico senza precedenti, mi ha detto tutto di un fiato.
You still have the waves in your eyes.
Hai ancora le onde negli occhi.
Ora Vivi ha cambiato blog e paese e la trovate qui http://humanitariancircus.blogspot.com/
ma vale la pena cercarla ancora lì, dove non è più ma ci sono ancora le sue onde http://stillwavesinyoureyes.blogspot.com/
There was an Old Man on whose nose, Most birds of the air could repose; But they all flew away At the closing of day, Which relieved that Old Man and is nose.
C'era un vecchio il cui naso Da ogni sorta d'uccellini invaso; Ma al tramontare del giorno Fuggì con tutti a stormo, Il che alleviava quel vecchio e il suo naso.
Leggo dal LIBRO DEI NONSENSE di Edward Lear, nella traduzione di Carlo Izzo. Uno dei libri che sto leggendo in questo periodo. Troppi e troppo interrotti. Domenica ho comprato e iniziato a leggere Massimo Recalcati (L'uomo senza inconscio). Ho cercato ma non ho trovato Ian Stewart (L'altro segreto della vita). E ho leggiucchiato Franca D'Agostini (Paradossi).
Stamattina mi sono svegliato con Gaber. Non questo Gaber. Ma a questo ho pensato. Che poi è anche la sua ultima apparizione. A voi.
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Due parole su Giuseppe
Siamo un pezzo avanti nella storia di Anna e ancora nessuna parola su Giuseppe. Dov’è Giuseppe mentre raccontiamo di Anna e Carlo, di Sara? Mentre scriviamo di loro, dove si trova Giuseppe? In questo momento, nel momento, ad esempio, in cui Anna e Carlo sono al tex-mex o prendono i loro aperitivi con altri, Giuseppe sale e scende dagli aerei per lavoro. Sale e scende come un sintomo di carriera a cui purtroppo fa difetto lo stipendio. Il limite di molti lavori fondati sulla passione è la convergente ricerca di piacere o invito al sacrificio. E Giuseppe si sacrifica mentre pensa che in fondo nulla sta levando alla sua vita. Non sta togliendo attenzione a una compagna, non a una figlia o un figlio. Non sta togliendo nulla neppure a se stesso. E torna tardi la sera. E fa la spesa tardi la sera. Sceso da un aereo, salito su un taxi e risceso compra cose inutili anche se buone. Non dietetiche. Non sane. E, soprattutto, care. Perché ad entrare tardi in negozi aperti si finisce spesso per spendere di più. Potrebbe fare la spesa qualcun altro per lui? Potrebbe avere un’organizzazione della vita, anche fuori dal lavoro, più metodica?
Ma forse bisogna partire da un’altra domanda. Perché Giuseppe non ha una compagna visto che ha o, meglio, ha avuto e anche più volte l’età giusta per averne una? Non certo per il lavoro, la carriera. E’ una persona onesta: non darebbe mai la colpa a questa vita di sacrifici. Neppure per avere molte donne ché non ne ha né una né molte. Deve essere colpa di quello che ha pensato o che pensa.
In amore, chi ha buone gambe scappa. Questo pensa Giuseppe dell’amore. Grosso modo assioma omologo al più noto adagio “in amore vince chi scappa”. L’aggiunta del buone gambe sta a dire che non è per lui tanto una questione di “vincere” ma di salvarsi, e salvarsi per lui ha una virtù sola “correre” o “saper correre”. In definitiva salvarsi non è per tutti. Eppure c’è in Giuseppe, anche se non lo sa, anche se si stupirebbe se qualcuno glielo facesse notare, anche se dissentirebbe se qualcuno gliela attribuisse c’è in Giuseppe, dicevamo, una naturale propensione alla vita matrimoniale. Ed è tardi per dirselo, è tardi per scoprirlo passati i 40 anni. E soprattutto è difficile dirselo se non lo si pensa.
Quando Anna incontrerà Giuseppe – scusate il piccolo salto in avanti – noterà questo di lui. Questo dirà alle amiche e questo – anche se ci ritornerò poi, inizio col dirlo – è l’impressione che Giuseppe, nonostante, per usare le parole di Carlo, un curriculum sentimentale molto lacunoso e ricco d’ombre, abbia il ritmo delle persone che sanno stare in coppia, in relazione. Superate almeno certe ruvidezze e abitudini dello stare per troppo tempo da solo. Cose che comunque a anche Anna ha notato e ne ha sorriso.
Linko anche oggi un po' di nonsense di Edward Lear
C'era un vecchio di Messina La cui figlia si chiamava Opsibina; Portava sulla testa un parrucchino E cavalcava in groppa a un maialino, Con gran diletto di tutta Messina.
che in inglese suona così
There was an Old Man of Messina Whose daughter was named Opsebeena; She wore a small Wig, And role out a Pig, To the perfect delight of Messina.
E' uno dei pochi limerick di Lear in cui il traduttore Izzo (interessante la sua introduzione) non è costretto ad arrampicate sulle pagine dei vocabolari. Cosa che fa anche quando avrebbe la città di Ancona che però facendo rima con owner lo porta a un altro parallelo Crotone/padrone. Notizie su Lear le trovate qui o nella intro di cui si diceva dove vengono raccontati anche episodi della vita italiana (morì a Sanremo) del poeta inglese che fu anche notevole disegnatore coem nel disegno della poesia su in alto.
http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Lear
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