Immagine
 il sabsoppalco... di Carvelli
 
"
“Cos’è questa? Tristezza? Chissà, forse./ Un motivo che conosco a memoria./ Che sempre si ripete. E sia./ Che continui così./ E risuoni anche nell’ora estrema,/ come la gratitudine degli occhi/ e delle labbra per ciò che qualche volta/ ci costringe a guardare lontano./ E fissando in silenzio il soffitto,/ perché visibilmente la calza resta vuota,/ capirai che tanta avarizia è solo indizio/ del diventare vecchio./ È tardi ormai per credere ai prodigi./ E sollevando lo sguardo al firmamento/ scoprirai sul momento che proprio tu/ sei un dono sincero.”

Josif Brodskij
"
 
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 31/07/2006 @ 11:16:42, in diario, linkato 11094 volte)

Recupero un bell'articolo/racconto di Errico Buonanno (uscito su il manifesto qualche tempo fa) che è riuscito a storicizzare e attualizzare un'ossessione infantile ridonandole tempo e spazio. Con brio. 

Il mondo perduto di nonno Ugo
di Errico Buonanno


Non sono passati poi molti anni da quando imperversava la pubblicità della «città del mobile». Il suo patron, ora dimenticato, preconizzava un'Italia diversa, e scopriva Moana...

Dopo due viaggi avanti e indietro su una Salaria nuvolosa, alla ricerca di un fantasma, Roma-Monterotondo, Monterotondo-Roma... mi fermo ad un bar. «Scusi, ma qui siamo già oltre il chilometro diciannove?» Sì, ma di poco: è il ventidue. Bevo il caffè ed intanto scruto la barista che sembra buona e disponibile anche alla chiacchiera. Prendo coraggio: «Senta, ma esiste... esiste ancora la Città del Mobile?» Crede di sì, ma non ne è certa. «E... Nonno Ugo?» Sorride, non può farne a meno, e mi conferma: «È vivo. Però è molto vecchio. Non fa più `Nonno Ugo', ormai.»

È vivo...

Rimonto in macchina e riparto in direzione della capitale. La strada è stretta, incorniciata da un filare d'alberi e da diecine, centinaia di cartelloni pubblicitari di autosaloni, magazzini. Eppure, di Città del Mobile neanche l'ombra («chilometro diciannove e seicento», diceva un tempo la réclame). Che sia magari diventata quel grande centro arredamenti - tanto pubblicizzato sulle radio locali; sedici filiali soltanto nel Lazio - che sorge proprio alla mia destra? Svolto, parcheggio. Sul tetto della costruzione ancora trionfa la scritta, cadente: «Rossetti». Era qui.

C'è stata un'epoca in cui, ce ne rendessimo conto o no, il grande boom, spiritualmente, era tornato. Epoca in cui, con la stessa fiducia, la stessa aria scanzonata che nascondeva gli ultimi brividi della Guerra Fredda e i nostri eterni complessi d'inferiorità internazionale, ci lanciavamo ancora avanti con progetti arditi: si sperperava, si speculava, si costruiva con un identico, incrollabile senso d'immortalità, con un identico sorriso. Candidamente, preparavamo già la strada a questi giorni di noia e paura, senza peccato, come un ruggente capodanno. Per Roma, per il quartiere Salario, per le nascenti, rivoluzionarie televisioni private laziali, quell'epoca, gli anni `80, furono l'epoca di Nonno Ugo. Chi è questo simbolo del tempo perduto?


Un uomo vincente
Al principio della nostra storia Ugo Rossetti era già un uomo a modo suo vincente. Proprietario di un mobilificio tra i più imponenti del paese, battezzato faraonicamente Città del Mobile Rossetti, vendeva con buoni guadagni arredamento per ragazzi, camere da letto e salotti, leader supremo del settore fino giù a Rieti e alle terre ciociare. Basso, grassoccio, i baffi bianchi su una facciozza bonaria: nessuno avrebbe sospettato che quella faccia sarebbe presto divenuta icona.

Parlando col senno del poi, possiamo dire che quest'uomo aveva avuto delle geniali intuizioni berlusconiane prima di Berlusconi stesso. Da imprenditore già avviato capì, all'inizio degli `80, che l'autentica svolta poteva venire solo divinizzando la propria persona, rendendosi personaggio, creando il mito. Si chiamò Nonno Ugo - Piccolo Padre della via Salaria -, si proclamò «sindaco» della sua Città del Mobile e, primo fra tutti, tappezzò Roma e dintorni di cartelloni mastodontici che lo ritraevano sorridente con la nipotina Deborah: «Nonno Ugo è il nonno più buono del mondo! Evviva Nonno Ugo!». In breve tempo, un commerciante come tanti era saltato nello spazio della fantasia popolare («Stai sempre in mezzo, come Nonno Ugo!»).

Erano gli anni in cui nascevano le tv private. Nonno Ugo lanciò su tutte le frequenze regionali la più massiccia campagna di spot che si fosse mai vista. Non gli bastava: osò di più. Capì in un attimo la vera potenza dello show, e reclutò al più presto una piccola schiera di attori in declino, presentatori un po' spiantati e ragazzotte di belle speranze. Nell'anno 1985 un mini-varietà condotto da Silvio Noto assegnava il Premio Venere Città del Mobile alla «donna più bella del mondo», una ragazza sconosciuta che si muoveva sensualmente nei locali del mobilificio: una scoperta, Moana Pozzi.

Ma Ugo Rossetti aveva occhio anche ai bambini: una sigletta proverbiale, con la sua nipotina Deborah che dipingeva una stanzetta di mille colori («Sì, sì, sì... giallo!») su sottofondo dei Ricchi e Poveri, introduceva una trasmissione che per noi, nati sul finire degli anni `70, ha ancora un certo che di mitico, di storico, un concentrato di estetica trash: lo «Sputagiò». Niente popò di meno che Pierino, alias Alvaro Vitali, conduceva questo spazio in cui i bambini erano invitati a picchiare con un martellone in gomma su una speciale macchinetta che sputava giocattoli vari. Accanto a lui, Tata di Ovada, ex impiegato datosi all'arte del clown, che presto avrebbe soppiantato del tutto Pierino nella conduzione del programma...


Un mondo buono e rattoppato
«Dov'è finito tutto questo?» mi domando, mentre una provvida commessa mi assicura che la nuova azienda non dipende dai Rossetti. In quest'istante, esattamente, mi rendo conto del tempo trascorso, vedo la discrepanza tra quest'efficienza asettica e il mondo buono e rattoppato di quegli anni. Esco e passeggio lungo capannoni in disuso, strade sterrate, due cani randagi che mi annusano le scarpe. È qui che, sulla porta di un cadente box dismesso, sta affisso un cartello: «Affittasi. tel. 320-17...» e sotto scritto: «Nonno Ugo».

Mi guardo attorno con il cuore in gola. Sul muro accanto c'è un'indicazione anomala: «Nuova Democrazia Cristiana, sezione De Gasperi». Una freccia indica una porta. La stessa porta è sormontata da un cartello: «Città del Mobile Rossetti». Ma non è affatto una città: è una stanzetta, un nonnulla! Dove mi trovo? Cos'è questo? Una donnina esce un po' sospettosa per domandarmi che vada cercando.

«Mi servirebbe... una libreria... Ma siete ancora la Città del Mobile? È tutto qui?»

«Smerciamo le ultime giacenze.»

«E Nonno Ugo?»

Ride: «Ha telefonato adesso. Venga». All'interno, un paio di letti, pochi comodini. E una gigantografia di Ugo con la piccola Deborah.

Forte, intuitivo, anticipatore per istinto, c'è stato un tempo in cui il Rossetti s'era lanciato nella fiction, ovvero le telenovelas, quelle che all'epoca dal Sud America invadevano i nostri giovani teleschermi e che condiva chiaramente con il suo stile personale. Primo copione: lui e lei devono sposarsi e vanno alla Città del Mobile. Ma il padre della sposa, nobile fiero ed altezzoso, si oppone quando scopre che il ragazzo è un trovatello. Interviene Nonno Ugo che si dichiara «conte di Rocca Rocchetta» e investe il giovane di un titolo nobiliare. Secondo Copione: Renzo e Lucia visitano la Città del Mobile. Ma Don Rodrigo, commerciante senza scrupoli, vuole aggiudicarsi la vendita della camera da letto. L'avvocato elettronico Azzecca-garbugli dichiara: «Chi più alto lo sconto farà, i suoi mobili venderà» e il buon Rossetti spiazza l'altro facendo uno sconto del 50%. Terzo copione: i genitori di Antonio e Cleopatra litigano sullo stile della camera da letto (romana o egizia). «Fior de fioretti... risorvece er problema, Ugo Rossetti!» Nonno Ugo prende una cetra e intona allora uno stornello: «Il problema, questo è chiaro, è un problema di denaro... Fior di napalo, perciò le camere ve le regalo!»

Tale era il sogno di quest'uomo semplice: una celebrità basata sul commercio, ma allo stesso tempo un commercio basato sul paternalismo, sul regalo, sullo scherzo. Lo spazio utopico della Città del Mobile, quello Stato ideale (sicuramente autoritario) che sopravvive nella memoria di noi bambini dell'epoca, era in realtà il punto cruciale, il momento di scelta, la cellula staminale in cui, nell'Italia rampante e tuttavia ancora ingenua di quel secondo e ultimo boom, erano contenute entrambe le strade che potevamo prendere. In Nonno Ugo, è chiaro, c'era Berlusconi. Ma in Nonno Ugo c'era anche l'Italia bracciante, sognatrice, brava gente, l'Italia che stava crollando.

Venne il declino, e fu implacabile. Nel `91 la gestione passò al figlio; lo stesso anno, un grande rave - che blasfemia! - veniva organizzato nottetempo nei locali del mobilificio: gli anni `90 travolgevano con il loro disincanto il grande sogno di Città del Mobile.

In breve tempo gli affari calarono, e Ugo commise l'errore di tradire se stesso, fino a imitare l'uomo che gli era sempre stato subalterno quanto a intuizioni, quanto idee: tra il `94 e il `95 anche lui fece la sua fatale «discesa in campo», candidato sotto i vessilli dello scudo crociato a ogni elezione nei seguenti dieci anni senza riuscir mai a essere eletto.

Cosa è restato di quel mondo?


La macchinetta triturata
Lo Sputagiò è rimasto alcuni anni abbandonato in un angolo del mobilificio. Voci su internet assicurano che l'infernale macchinetta - interamente di cartone - sia quindi stata triturata e fatalmente riciclata.

Giovanni Taffone, alias Tata, «clown della simpatia» (anni sessantacinque), è ancora oggi contattabile presso il suo sito www.geocities.com/tatadiovada/, sul quale offre esibizioni a domicilio, foto e un curriculum in cui si vanta degli «elogi personali del principe Ranieri di Monaco» e di ben due apparizioni televisive durante i primi anni `70. Di Nonno Ugo non si fa parola.

La piccola Deborah Rossetti è oggi una splendida ventiseienne. Si è laureata e sta muovendo i primi passi nella carriera di scenografa con cui continua, a modo suo, la tradizione familiare.

Alvaro Vitali sta lentamente riemergendo da un quindicennio di dimenticanza. Vestiti per l'ultima volta i panni del grande Pierino nel ciclo di spot low-budget per i magazzini Mas di Roma, ha cavalcato l'onda della riscoperta del trash riuscendo a ritagliarsi apparizioni marginali: ha interpretato se stesso nel disastroso lungometraggio Ladri di barzellette e ha affiancato l'imitatore di Montezemolo a Striscia la notizia. L'ultima interpretazione è stata in Domani è un'altra truffa, il film tv di Pingitore con cui al momento, ad ogni modo, parrebbe essersi salvato dall'oblio.

Moana vive ancora oggi, bella e irreale, nel cuore caldo del paese: già mito, già santa. In occasione dei dieci anni dalla sua scomparsa, nel 2005, sono tornate alla ribalta voci insistenti intorno al suo vero destino: che non sia morta e abbia soltanto organizzato questa solenne messinscena per conservarsi sempre giovane nella memoria dei suoi fan?

Dalla villetta prospiciente la Città del Mobile, Nonno Ugo, ottantenne, guarda in silenzio la scritta «Rossetti» sul tetto del suo magazzino. Ha ancora forza, ancora sogni, ancora tutta l'imponenza di chi fu «sindaco» di quell'utopia ruggente: impero gioioso nei più frenetici anni `80, la terza via tra Russia e America, una Euro-Disneyland ante litteram, Milano Due della Salaria. Resta lì, fermo, riflessivo e cerca d'individuare, forse, il punto esatto di frattura, il labilissimo confine tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. Ai bordi della capitale, il nuovo avanza.


Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 01/08/2006 @ 08:31:56, in diario, linkato 2026 volte)

Un libro è la sua copertina? Un libro è anche la sua copertina? Forse no ma la tara di questo cambio di immagine  nell'edizione economica del libro della Munro (Nemico, amico, amante... che semplifica un titolo inglese forse per noi meno significativo, per noi oggi?) opacizza la bellezza della prima edizione (la bella fotografia di Fulvio Ventura della donna ad un caffè). La domanda è: è giusto che l'edizione economica mantenga l'immagine della prima? E' giusto che sia la versione low cost dell'altra? Vorrei fare la stessa dissertazione su Dance dance dance di Murakami o rivelare la mia affezione per Un cuore così bianco nella versione Donzelli. Inutili edonismi? Affezioni? L'altro giorno uno scrittore (durante una presentazione di Perdersi) sottolineava come solo ora gli è permesso di dire la sua sulle copertine. Lo diceva giustificandosi per l'immagine in copertina di uno dei suoi primi libri. Quanto è importante poter dire la propria sull'immagine in copertina?

 

 

Allego di seguito un'inchiesta di qualche tempo fa da www.librialice.it

Inchiesta - Quanto conta la copertina?

Che ruolo riveste la copertina in un successo editoriale? E abitualmente chi la sceglie? Abbiamo rivolto queste domande ad alcuni attori del mondo del libro: scrittori, editori, grafici. Le risposte costruiscono un quadro piuttosto completo della situazione italiana, ma anche di quella internazionale. Una linea sembra prevalere: la copertina ha un ruolo abbastanza importante nel lancio di un libro e ne può indicare i contenuti in modo addirittura stupefacente, ma può anche essere “respingente”. È una scommessa e un rischio, comunque una scelta in generale molto ponderata.

Gli autori

Abbiamo chiesto ad Antonia Byatt, scrittrice con particolare competenza in ambito artistico, che importanza attribuisce alla copertina, in particolare per il suo Natura Morta così evocativo già nel titolo, e se sceglie, almeno nella versione originale, le immagini che vengono proposte al pubblico.
Sì io richiedo che venga stipulato e precisato nel contratto una clausola che mi consenta di approvare la scelta della copertina. Tuttavia non credo che uno scrittore capisca sino in fondo il meccanismo del marketing editoriale che portano a una determinata decisione. È ridicolo che gli scrittori, come spesso fanno, portino fotografie fatte da amici... Io non lo farei mai, ma mi interesso di copertine e mi permetto di suggerire delle immagini. Nel caso di Zucchero, ghiaccio, vetro filato c’è un’immagine polare con ghiaccio e neve che sono stata io a suggerire dopo averla trovata in Norvegia. Ho visto che funziona molto bene su sfondo giallo (in edizione britannica) e altrettanto bene su quello bianco dell’edizione Einaudi. Non mi piacciono le fotografie utilizzate per le copertine, specie se sono ritratti. Con un’unica eccezione: è stato ristampato di recente negli Stati Uniti il mio primo libro, The Shadow of the Sun (L’ombra del sole) con una fotografia di due piedi: sono due piedi degli anni 50 e non si vede il viso perché la testa è completamente tagliata. È un’immagine che amo moltissimo, con quella luce che viene da dietro... Preferisco comunque riproduzioni di disegni e dipinti, come quello di Casorati della copertina italiana di Natura morta. Alcuni anni fa andai a Torino per un seminario alla scuola Holden ed ebbi occasione di cenare da Casorati. Questo quadro mi piacque talmente che lo convinsi a cedermi i diritti di riproduzione.
Il romanzo che ha reso molto popolare in Italia David Grossman, Che tu sia per me il coltello, ha un ritratto in copertina estremamente evocativo, forse una delle concause del successo immediato del romanzo sul grande pubblico. Anche il titolo è davvero carico di suggestioni: lo scrittore israeliano ha sempre, anche nei romanzi successivamente usciti in Italia, mostrato particolare cura per questo tipo di scelte. Ma a chi va il merito di tutto ciò? Ecco come lo scrittore ha risposto:
La casa editrice mi consulta sia a proposito dei titoli che delle copertine, però mi fido del mio editor perché so che conosce gli editori italiani molto meglio di quanto li conosca io. Quello che posso dire è che so molto bene ciò che non voglio: ho sempre la possibilità di scegliere, per esempio, fra le fotografie che verranno messe sulle copertine dei miei libri. Conoscerete, forse, l’aneddoto che sta dietro la copertina di Che tu sia per me il coltello, questa storia sorprendente, stupefacente, che recentemente si è conclusa purtroppo con la morte della donna del ritratto. Quanto ai titoli: in ebraico i titoli dei miei libri sembrano bizzarri, quasi incomprensibili, ma è successo che dopo un po’ siano diventati frasi entrate nel linguaggio comune, quasi degli slogan, applicabili a diversi aspetti della vita. È successo per Il libro della grammatica interiore, è successo per Vedi alla voce: amore e anche per Ci sono bambini a zig-zag. Forse in Italia il clima, da questo punto di vista, è più conservatore. Per esempio, il titolo del primo racconto di Col corpo capisco (quello a cui ho accennato) è stato tradotto in italiano con “Follia”, in ebraico invece è una parola che ho inventato, cioè ho creato un neologismo, che letteralmente significa “render se stessi folli”, più precisamente ancora, “infiammare se stessi fino a portarsi al grado della pazzia”. È esattamente quello che fa Shaul, il protagonista. Mi chiedo come potrebbe mai essere tradotta un’idea del genere in italiano, ed è per questo che è stata scelta una traduzione forse più conservatrice come, semplicemente, “Follia”, che non copre, però, l’intero significato del neologismo ebraico.
A uno scrittore italiano molto noto e amato, Giuseppe Culicchia, libraio in un passato non remoto, chiediamo quanto la copertina di un libro abbia importanza, secondo lui, nel determinare il successo o l'insuccesso di un’opera
Sì, in base alla mia esperienza di libraio devo dire che la copertina di un libro ha naturalmente la sua importanza nel determinarne il destino. Ricordo su tutti il caso dell'esordio di Banana Yoshimoto: Kitchen aveva una copertina molto bella, piena di giapponesine, capace di attirare l'attenzione del cliente e di incuriosire (come peraltro, va detto, il nome dell'autrice).
Raramente l'autore ha la possibilità di scegliere la copertina. E, fermo restando che i grafici dovrebbero poter fare il loro lavoro di grafici, non sempre è un bene. Per quanto mi riguarda ho scelto la fotografia per la copertina del Paese delle meraviglie perché mi pareva che contenesse tutto il libro: vitalità dell'adolescenza, voglia di ribellione, innocenza, e però anche l'incombere di qualcosa. e poi c'era la quercia, insomma era a mio modo di vedere perfetta. non ho condiviso la scelta del lettering, ma non si può avere tutto.
A chiudere questa panoramica Elena Loewenthal, che ha scritto narrativa e saggistica, due generi che richiedono sicuramente un approccio grafico differente. Quale importanza attribuisce alla "giusta copertina" per il successo di un libro? Con quali criteri sono state scelte le sue copertine?
Ho un rapporto viscerale con i miei libri, per me la copertina viene come dire dopo tutto il resto. Però so che ci sono ragioni commerciali importanti e per questo mi affido sempre all'editore, che ne capisce più di me... Diciamo che cerco di rispettare le sue scelte, se non vedo proprio qualcosa che sento estraneo a ciò che ho scritto. Il mio editore mi sottopone sempre le prove di copertina, ne discutiamo democraticamente. Ma da parte mia cerco di rendermi conto che, per la scelta della copertina, l'editore ha di gran lunga più esperienza di me.


Gli editori

Particolarmente interessante il parere di Giulio Mozzi, che si colloca a metà strada tra quello dell’autore e dell’editore. In realtà riveste entrambi i ruoli, e può darci un’idea di come si compensino le esigenze e le scelte.
Quale importanza può avere la "giusta copertina" per il successo di un libro per un autore-editore?
Non rispondo né come autore né come editore: ma come lettore. So benissimo che una copertina fatta in un certo modo può provocare l'estensione del braccio destro e la presa in mano del libro. Poi, ovviamente, nel libro ci si guarda dentro. Ma ci sono copertine che trovo respingenti (quelle con i pittori fiamminghi, quelle con il modernariato pop illucidito con Photoshop ecc.) e copertine che trovo attraenti (quelle di carta non patinata, quelle con piccoli segni fatti a matita, quelle con colori saturi ecc.). La copertina quindi è importante. (Lo stesso discorso vale per i dischi).
Tornando all’attacco, come autore chi sceglie le tue copertine e, se le scegli tu, con quali criteri?
In dodici anni che pubblico, mi è successo di tutto. Per il primo libro di racconti (presso l'editore Theoria) proposi un'immagine, che fu accettata. Per il secondo (Einaudi), quando dissi che avevo delle proposte da fare mi dissero che non era affar mio. Per il terzo (Mondadori) l'editore mi fece una proposta che mi convinse subito. Per i primi due libri fatti in Einaudi Stile Libero, vidi la copertina quando mi arrivarono le copie a casa; per il terzo mi fu chiesta un'opinione, quando la espressi qualcuno si irritò, sul libro trovai l'immagine che meno mi andava a genio. Per il poema e l'ultimo libro di racconti (Einaudi) portai delle immagini e nessuno ebbe niente da ridire.
Quanto ai criteri: non saprei dire. Secondo me non ha molto senso parlare di "copertina": è più giusto parlare di "confezione", includendo nella confezione anche il titolo. L'ultimo libro che ho fatto, a quattro mani con Dario Voltolini, Sotto i cieli d'Italia, ha un titolo che è stato generato dall'immagine della quale mi ero innamorato. Il criterio, se un criterio è, è questo: il libro è un oggetto, ogni sua parte deve corrispondere alle altre.
Nelle vesti di editore invece come ti comporti? decidi tu, decidono gli autori, scegliete insieme?
Dipende. C'è l'autore propositivo, e l'autore che no. C'è l'autore ipercritico e quello al quale va bene tutto. In linea di massima decide il gruppo di redazione; accogliendo volentieri suggerimenti dell'autore; e tenendo conto delle sue osservazioni. Non credo che si possa stabilire un criterio. Una collana ha una sua logica grafica, immaginifica. Si può anche dare il caso di un libro per il quale sia impossibile trovare la copertina giusta, a meno di stravolgere la logica della collana. Eccetera. Tutto sommato, credo che sarei per l'improvvisazione, per il "volta per volta". Ma questo, in una casa editrice, è difficile (e rischioso) da fare...
Un copertina “sbagliata” può danneggiare un buon titolo? Lo chiediamo a Luisa Sacchi, direttore editoriale della casa editrice Fabbri
Titolo e copertina certo sono determinanti nell'incentivare l'acquisto o al contrario nello sfavorirlo. Ma anche nel creare un'aspettativa di temi, tenore, sapore che potrebbero poi essere deluse.
Quindi la scelta della copertina è un lavoro delicato e difficile: i criteri? leggere sempre il libro, pretendere che anche il grafico e l'illustratore lo facciano. Scegliere quindi grafici e illustratori che abbiano una vera passione per i testi.
Non esistono compartimenti stagni nel nostro lavoro, la passione per la lettura, l'attenzione per il nostro lettore, il rispetto per il nostro autore devono vederci uniti. Non è importante chi sceglie: a volte l'editor, a volte il grafico, a volte l'autore, più raramente il direttore editoriale. È importante invece come si sceglie. È un lavoro infatti che richiede molta cultura, curiosità e ricerca. Bisogna poi avere in mente molte immagini per trovare quella giusta e amare la fotografia, l'arte, l'illustrazione, non solo la lettura.

A Marco Zapparoli e a Claudia Tarolo, (gli editori marcos y marcos) che hanno sempre avuto copertine particolari e inconfondibili per i loro libri chiediamo “come” e “quando” nasce una copertina.
L'idea per la copertina in marcos y marcos nasce quando i due marcos – Marco Zapparoli y Claudia Tarolo - si rendono conto che è venuto il momento di pensarci e riescono a ricavarsi uno spazio bello sgombro da dedicare solo a quello.
Si parte, naturalmente, parlando del testo: tentando di intuirne la
tonalità, di lasciarne affiorare quadri e immagini. Attraverso un confronto sempre più serrato si arriva al soggetto vero e proprio, procedendo per tentativi, continuando a correggerci a vicenda fino all'idea che convince tutti e due. Che è sempre la somma di più idee. Entra in scena così Lorenzo Lanzi, dal 1997 disegnatore esclusivo della Real Casa.
In un lasso di tempo che, a seconda dell’urgenza, va da tre ore a tredici
giorni, Lorenzo prepara due bozzetti a matita. Lì si vede quanto ha raccolto dell’idea di partenza, dopo averci aggiunto e/o tolto del suo. A volte tutto si presenta già più che bene, e normalmente le copertine migliori sono quelle in cui la “trasformazione” avviene al primo colpo. Altre volte, occorre rifare. e rifare. e tri-fare.
L’autore deve già fare l’autore: fatica non da poco. Per gli aspetti grafici e commerciali meglio riposare nelle salde mani dell’editore, che normalmente
di queste cose si intende. Capita, naturalmente, che dica la sua; ma è meglio per tutti che non diventi una regola.
Una copertina brutta può frenare le vendite, ma forse la cosa peggiore è una copertina sbagliata. Una copertina sbagliata può dare del libro, del suo contenuto, un’idea diversa da quel che è. Quindi, mette il libro nelle mani sbagliate. Il lettore si aspettava un libro completamente diverso!
E il lettore deluso non consiglia poi a nessuno il libro: per noi questa è la cosa peggiore.


Il punto di vista dei grafici

Interessante vedere l’argomento anche dal punto di vista dei grafici che realizzano i disegni ideando un’immagine espressamente legata a quel titolo. Non dunque copertine ricavate da disegni o fotografie preesistenti, ma un lavoro fatto ad hoc in collaborazione con l’autore. È ciò che accade con le edizioni statunitensi di Haruki Murakami che collabora strettamente con i grafici delle case editrici Alfred A. Knopf e Vintage Books
Haruki Murakami lascia molto spazio a Chip Kidd e John Gall che lavorano con lui da molti anni, fornendo loro il manoscritto del romanzo per permettere una lettura meditata del testo. La collaborazione è così riuscita ad “invadere” anche l’area editoriale giapponese: After the quake, con la colorata ranocchia, è diventata anche la copertina dell’edizione giapponese del libro. Segno evidente della soddisfazione dell’autore e della risposta del mercato editoriale.
Come nasce il disegno di una copertina? Chip Kidd dichiara a proposito di una delle più fortunate dei romanzi di Murakami, The Wind-Up Bird Chronicle (L’uccello che girava le viti del mondo):
Murakami non descrive mai la forma dell’uccello protagonista, e in questo caso ho infranto una delle mie regole principali: ho realizzato un’immagine che rappresentasse il titolo alla lettera. Generalmente non si tratta di una decisione giusta, e può sembrare quasi un insulto al lettore. Cosa salva questa scelta specifica è l’astrazione. Nel romanzo quello che il narratore chiama “the wind-up bird” è molto presente anche se non si vede mai. Così ho realizzato un uccello così grosso che solo una parte di esso possa essere percepito singolarmente sulla superficie del libro. E per esprimere ciò che può celarsi dentro un simile uccello, ecco un buco che rimanda a un altro livello.
A John Gall invece il compito di disegnare le copertine delle edizioni paperbacks. Secondo quali linee di lavoro?
I libri di Murakami sono contemporaneamente misteriosi, surreali e un po’ fantascientifici. Ha sviluppato temi antichi come donne scomparse, acque che scorrono, misteriose cavità del terreno. Così come molte azioni, che risultano essere normali, nelle sue storie vengono descritte in un modo particolarmente accattivante: preparare il pranzo, fare la spesa... Volevo copertine originali ma tranquille al tempo stesso. E volevo colori che richiamassero la cultura giapponese contemporanea. Alla fine ho realizzato con pochi elementi una grande quantità di disegni così come accade a Murakami, non dimenticando il gusto un po’ vintage, che anche lui possiede, per cose come il jazz e in whiskey.
Quale la differenza sostanziale dal punto di vista grafico tra la copertina dell’edizione rilegata e quelle tascabile?
La grande differenza è che è necessario mettere più informazioni in una copertina più piccola destinata a un pubblico ancora più vasto. Oltre al titolo spesso vengono inseriti quote, una frase che richiami il successo di vendite della prima edizione, qualcosa sull’autore e talvolta su un premio vinto. Inoltre la copertina deve essere accattivante e richiamare l’attenzione del lettore, perché l’edizione economica non è supportata dalle recensioni.

Di Grazia Casagrande e Giulia Mozzato

Data dell'ultimo aggiornamento: 17 febbraio 2005

www.librialice.it/news/primo/inchiesta_copertina.htm 

 

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 03/08/2006 @ 11:50:42, in diario, linkato 1414 volte)

Sto leggendo Pynchon, L'incanto del lotto 49, edizione Einaudi, traduzione di Massimo Bocchiola. Perché non l'ho letto prima? Già, perché? Recupero e leggo ora. Prima pagina e già applausi a scena aperta e la scena è questa: io seduto su un lettino per la donazione di rossi (globuli) plasma. Donazione n.27 (qui almeno, in questo ospedale). Quindi l'applauso è impedito dalle cannule e gli aghi e gli infermieri e le macchine separatrici e... ecc. Applaudo lo stesso e continuo la lettura anche se - esangue - sono un po' incerto sul come e sul dove e sul quando. Poi riprendo e d'un fiato avanzo nella bellezza di questa prosa perfetta nell'equilibrio di dialogo e situazioni stranianti. Ora, per esempio, sono (letteralmente, anche se il me che legge si rifrange in un vagone-serpentone di metro) in una stanza d'albergo che sto per essere spogliato da un avvocato o sto poer spogliare una nominata esecutrice testamentaria ma, che io sia l'uno o l'altra, mi sto rivoltando in un bagno di schiuma per capelli mentre un'orchestrina improvvisata intona una serenata cupida. Ma ecco che chiudo il libro e scendo (dalla reverie, dalla metro, dal libro).

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 25/08/2006 @ 09:45:06, in diario, linkato 1374 volte)

L'estate trascorre nelle letture. Queste letture. Federico De Roberto I Viceré, un libro su cui pesa il giudizio negativo di Croce ma anche la geniale visione di Sciascia che parla di "democrazia ottica". Ma è una lettura ancora con l'omino e la pala, in corso. Prezioso è il libro della Mavis Gallant Al di là del ponte (fortunato incontro all'usato di Mel bookstore). Sono quattro meravigliosi racconti dal gusto fuori tempo e una prosa esatta di colore e di procedimento a vite e ad accumulo. Vi leggo un pezzo da La remissione: "Barbara capì, dal modo in cui la guardò, di aver iniziato il suo viaggio verso sud come moglie e madre dalla bellezza sfiorita, per giungere in un luogo dove il suo viso appariva esotico. Fino a quel momento aveva pensato solo che quella salita sul treno era una normale famiglia inglese, mentre poi ne era scesa la sua caricatura. La questione era sempre la stessa: l'occhio di chi guarda." E la questione è sempre quella sì, l'occhio di chi guarda. E lo sguardo che4 ho atteso giorno per giorno e da cui ho avuto calore letterario è anche quello del viaggio (giornalistico) curioso di Paolo Rumiz che ieri ha trovato una fine degna (degno finale e degno incipit dell'ultima tappa per chiudere in bellezza). Da leggere qui http://www.repubblica.it/2006/08/speciale/altri/2006appennino/tappa-24/tappa-24.html insieme a tutto il resto. E' stata una compagnia di tutti i giorni. Una giusta finestra sull'andare per monti e per persone, così, all'avventura e per sguardi.

Al di là del ponte e altri raccontiI Viceré

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 28/08/2006 @ 09:08:27, in diario, linkato 1401 volte)

(E su) La remissione, un magnifico racconto in cui l'autrice canadese ma da quasi sempre a Parigi Mavis Gallant ci fa seguire da vicino una malattia mortale (tutto il racconto è una "cronaca di una morte annunciata" o se preferite dilatata) e tutto quello che ne consegue a ricasco. Cambiano le vite attorno a questa morte come succede e cambia forse anche la morte attorno a queste vite mutate, fino alle laconiche e profetiche - una profezia e un'intuizione apparentemente a scarto ridotto - parole del condannato alla fine. Ecco allora la distribuzione del dolore e le sue conseguenze. Non sempre dal dolore nasce altro dolore e non è detto che sia un male (l'ovvietà, in questo caso, è che dal dolore si rinnovi dolore e si perpetui...si debba perpetuare...) ed è così per Barbara. Dire che è un male? Questo racconto meraviglioso si candida ad essere una delle mie reiterabili letture oltre allo scatto di una determinazione (debole per la mia poca pratica delle lingue) di una lettura di originali (proponimenti di tarda estate). Per ora mi sento affascinato dalla lucidità dello sguardo della Gallant, la sua assenza di moralismi, la sua capacità di osservazione, di scavo psicologico senza condanne. Si discute sulle differenze - per dire - da una Munro.

Ma è sempre vergognoso e improprio (di cattivo gusto) paragonare due bellezze, due abilità, due virtù. Ecco perché la Soria della Letteratura è spesso una campana di temerarie volgarità dottorali su chi ama leggere. Intanto è da dire che: il finale del racconto (le ultime nove o dieci righe) è superlativo; che rimane un senso di condanna nel destino futuro dei ragazzi e (purtroppo) mai lo conosceremo; che anche se Will ha detto "La morte senza Dio è vuota" se la Gallant non avesse letto nella mente del ragazzo il resto si sarebbe smarrito il peso del ragionamento per lasciare saggezza precoce e basta; che se in fondo Molly (saggezza precoce) ha capito che il futuro è già nei suoi quattordici anni magari non è un vantaggio brutale ma è fortuna casuale (un dolore non è spesso solo un dolore, insomma). Ma alla fine sono sopratutto belle (arrivano, segnano, modificano, convincono, incantano) le parole, perché questa è la letteratura. "Molly scosse la testa. Sapeva già come stavano le cose, a quattordici anni: non c'era alcuna libertà tranne che smettere di amare." (E mi piace pensare che questa frase sia filosofia buddista più che sconcerto e dolore così come che la psicologia sia un vestito troppo attillato per questa autrice, sottodimensionato per volgarità).

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 29/08/2006 @ 08:21:39, in diario, linkato 1373 volte)
Ieri su l'Espresso ho letto un'interessante dichiarazione di poetica (o meglio di lavoro) di Monica Ali. Fare ricerca sulle storie per poi inventare. Fare ricerca come un pretesto per poi abbandonare quel che si è scoperto e creare quello che ancora non c'è. Così, per sommi capi. Come a dire che cercare è come un presupposto (apparentemente) necessario ma da superare, trascendere nell'invenzione della storia. In copertina su un libro di Biondillo una frase lapidaria di Antonio D'Orrico (cito a memoria) a uno scrittore (di gialli? non ricordo) servono una città e dei personaggi e Biondillo li ha entrambi. La lista del "cosa serve" sembra sterminata e personale. Da qualche parte quest'estate ho letto (persino) una dichiarazione di poetica che suonava grosso modo così: io non invento nulla, racconto solo quello a cui ho assistito.
Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 29/08/2006 @ 15:07:09, in diario, linkato 2338 volte)

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 30/08/2006 @ 15:02:20, in diario, linkato 1463 volte)

Gianna Maria Canale

Questa invece è Gianna Maria Canale indimenticata diva di tanti film anni 50 ante e oltre. Qui in un profilo severo, peplum, il suo genere (non il mio genere). Ma che conosciamo anche in versioni più morbide ma comunque austere ed affascinanti. Dentro ci vedi gesti che non saranno più (non sono più e forse non sono mai stati se non nella cellulosa, nei fotoromanzi e nei romanzi che ci siamo immaginati): tipo fumare col bocchino, guardare un uomo come per mangiarlo con le labbra (i denti si sarebbero usati in anni a seguire), inghiottirlo in un vortice di passione. Già: vortici di passione. Come se l'attrazione (l'amore era il nome per iol tutto) potesse avvolgere in un turbine d'aria più che in una cavità. Luci che si spegnevano su questo vortice. Dissolvenze e in mezzo cosa? Le doppiatrici. Le stesse. Le voci leggermente stridule. Le parole volutamente severe di chi sa che si deve vincere subito per non perdere dopo. Anni fa era così.

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 31/08/2006 @ 11:17:12, in diario, linkato 1525 volte)

Segnalo un articolo dal Corriere di ieri. Cosa e come tutelare cosa. Questo il tema dell'eccesso da diffusa virtualità. Ma il tema più morbido e di ricavo (meno truculento) è anche quello della protezione del diritto d'autore. Cosa fa di un autore un autore? Di un'opera d'ingegno un diritto da proteggere?

 

Paradossi della Rete. Internet, Delitti Senza Castigo

La proprietà privata nel cyberspazio non è protetta 

di Veronesi Sandro Corriere della Sera (30 agosto, 2006)  

Dunque è successo. Uno dei tanti problemi specifici del Web, che vengono discussi sul Web nella speranza di trovare una soluzione sul Web, è tracimato fuori dal Web, nella vita tradizionale, quella non virtuale, quella non connessa - quella reale, viene da dire, ma chissà se si può ancora. È successo a Shanghai. Protagonisti: due amici (Qiu Chengwei, 41 anni, e Zhu Caoyuan, 26), una spada chiamata Sciabola del Dragone, la polizia, la legge, il tribunale penale. È successo questo: Qiu ha prestato la sua Sciabola del Dragone a Zhu, ma Zhu non gliel' ha restituita: l' ha venduta e si è messo in tasca il ricavato, 7.200 yuan, equivalente a circa 700 euro. Qiu è andato alla polizia a denunciare il fatto, ma la polizia gli ha detto che non poteva far nulla. Allora Qiu si è arrabbiato e una mattina è entrato nella casa di Zhu e l' ha ammazzato a coltellate. La polizia l' ha arrestato, e il Tribunale lo ha condannato all' ergastolo. Fin qui, tutto normale. Il giudice, però, ha voluto sapere dalla polizia perché, quando Qiu è andato a denunciare il furto della spada, gli è stato risposto che non si poteva fare nulla: in fondo, il ladro non era ignoto, l' accusa era dettagliata. Perché? E la risposta della polizia è stata: perché la spada non era reale, era virtuale. Era un' arma conquistata nei combattimenti on-line, non esisteva, e per loro Zhu, cedendola in cambio di denaro, non aveva infranto nessuna legge. Ecco fatto. Ecco che la magagna esce dalla Grande Palude e comincia a riguardare tutti noi. Perché è vero che questi giochi on-line contano circa 30 milioni di utenti alla settimana, ma rimarrebbero ancora un mondo a parte, esteso, magari, e tuttavia circoscritto e isolato dal nostro, costituito da persone che preferiscono emozionarsi per esperienze simulate anziché reali; ma il concetto di proprietà, be' , quello è universale, e la sanguinosa reazione di Qiu ha reso appariscente un problema che fin qui conoscevano solo i fissati del Web: nel cosiddetto cyberspazio, così pieno di giochi, di simulazioni, di guerre, di territori e di oggetti virtuali cui viene riconosciuto un valore reale, la proprietà privata non è protetta dalla legge. La legge si è affrettata a difendere il diritto d' autore anche lì, ma non si è ancora preoccupata di difendere il più antico e intuitivo fondamento civile, su cui si sono basate praticamente tutte le violenze della storia. E questo non solo in Cina ma in ogni altro Paese del mondo: al momento portare via un oggetto virtuale a chi lo possiede non è un reato. Be' , se avessi 22 anni e fossi iscritto a giurisprudenza, ora saprei esattamente su cosa fare la mia tesi. Ma anche se fossi uno studente di sociologia, dopotutto, o di antropologia. Perché, come ho detto, questo della proprietà dei beni virtuali è un vecchio problema di Internet, e a questo problema la tribù del Web ha cominciato a dare soluzioni autarchiche, e arcaiche, tipo l' espulsione degli utenti scorretti dalle comunità di riferimento (ma a Zhu, evidentemente, questo non faceva né caldo né freddo), o l' istituzione di mafie (si chiamano proprio così, «mafie») che in cambio di denaro vero si preoccupano di difendere con disparati metodi le proprietà virtuali dei propri clienti (ma evidentemente Qiu non lo sapeva), e ciò è già interessantissimo: come si organizzi, cioè, una comunità abbastanza estesa, nella quale vengano effettuati scambi tra beni e corrispettivi in denaro (circa 880 milioni di dollari l' anno, secondo uno studio di un istituto di ricerca di Boca Raton, Florida, il giro d' affari di riferimento), e nella quale la legge non difenda la proprietà privata. Ma ancor più interessante, forse, è studiare come si può fare a difenderla. Fino a oggi la proprietà è sempre stata concepita nei confronti di oggetti reali (spade, terre, case, automobili vere, con una forma, un ingombro fisico, un peso e un volume); ora bisognerà sforzarsi di estendere questo concetto agli algoritmi e alle combinazioni di impulsi binari che generano gli stessi oggetti sugli schermi dei computer. E non si tratta solo di spade o di armi per i giochi di combattimento: esistono isole virtuali, sul Web, piene di animali virtuali, dove un giocatore può andare a caccia virtuale, dietro pagamento di una tassa reale. Come può fare la legge a difendere il loro proprietario dal pericolo che qualcuno, con il pirataggio informatico o carpendo la sua fiducia, se ne impossessi e goda impunemente del loro sfruttamento? È affascinante, perché bisogna rinominare tutto da capo. Ridefinire radicalmente il concetto stesso di «spada» o di «isola». Ogni cosa dovrà essere riconcepita in modo da poterla riconoscere tutta intera anche soltanto nella sua essenza, o nella sua effigie. La famosa pipa di Magritte, sotto la quale c' è scritto «questa non è una pipa» perché in effetti è il dipinto di una pipa, diventerà una pipa, almeno agli effetti legali, nel momento in cui, anche soltanto virtualmente, sarà possibile fumarla. È affascinante, sì. E difficilissimo. A meno che non si voglia continuare a fare come ha fatto la polizia di Shanghai, e sostenere che la pipa che A presta a B, e che B vende a C senza il permesso di A e senza dargli i soldi reali ricavati dalla vendita, ragion per cui A si arrabbia, e decide di uccidere B, e lo fa, realmente, quella pipa che C si ritrova adesso a possedere, e che può fumare nel suo gioco online ma anche vendere a D, ammesso che E non gliela rubi e non la venda a F, quella pipa lì continua a non esistere. Ma anche questo, sarete d' accordo con me, comporterebbe un bello sforzo. 

 

 

     

 

 

 

 

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Carvelli (del 31/08/2006 @ 14:11:08, in diario, linkato 1432 volte)

Da questo rettile a questo rettile è estate. Poi non più. Dal muro percorso a palmi, in verticale, in orizzontale, a testa sopra o sotto è estate. Dopo no. Dopo ci sarà un buco in cui si rintana e un anno di altro. Un'estate ed ecco di nuovo un capolino da qualche anfratto, senza la luce, a fuggire, a nascondersi. Una gioventù curiosa (universalismi) e una vecchiaia indurita fatta di più circospezione. E' inutile fare la guerra del dentro/fuori. Questa è casa quello è terrazzo. Lì puoi stare tu qui no. Non serve. La strada si trova da soli (anche qui universalismi). Ma oggi  che pure è un po' più fresco è sempre estate. Ed ecco un geco.

Articolo (p)Link   Storico Storico  Stampa Stampa
 
Ci sono 14671 persone collegate

< novembre 2024 >
L
M
M
G
V
S
D
    
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
 
             

Cerca per parola chiave
 

Titolo
diario (3972)

Catalogati per mese:
Novembre 2005
Dicembre 2005
Gennaio 2006
Febbraio 2006
Marzo 2006
Aprile 2006
Maggio 2006
Giugno 2006
Luglio 2006
Agosto 2006
Settembre 2006
Ottobre 2006
Novembre 2006
Dicembre 2006
Gennaio 2007
Febbraio 2007
Marzo 2007
Aprile 2007
Maggio 2007
Giugno 2007
Luglio 2007
Agosto 2007
Settembre 2007
Ottobre 2007
Novembre 2007
Dicembre 2007
Gennaio 2008
Febbraio 2008
Marzo 2008
Aprile 2008
Maggio 2008
Giugno 2008
Luglio 2008
Agosto 2008
Settembre 2008
Ottobre 2008
Novembre 2008
Dicembre 2008
Gennaio 2009
Febbraio 2009
Marzo 2009
Aprile 2009
Maggio 2009
Giugno 2009
Luglio 2009
Agosto 2009
Settembre 2009
Ottobre 2009
Novembre 2009
Dicembre 2009
Gennaio 2010
Febbraio 2010
Marzo 2010
Aprile 2010
Maggio 2010
Giugno 2010
Luglio 2010
Agosto 2010
Settembre 2010
Ottobre 2010
Novembre 2010
Dicembre 2010
Gennaio 2011
Febbraio 2011
Marzo 2011
Aprile 2011
Maggio 2011
Giugno 2011
Luglio 2011
Agosto 2011
Settembre 2011
Ottobre 2011
Novembre 2011
Dicembre 2011
Gennaio 2012
Febbraio 2012
Marzo 2012
Aprile 2012
Maggio 2012
Giugno 2012
Luglio 2012
Agosto 2012
Settembre 2012
Ottobre 2012
Novembre 2012
Dicembre 2012
Gennaio 2013
Febbraio 2013
Marzo 2013
Aprile 2013
Maggio 2013
Giugno 2013
Luglio 2013
Agosto 2013
Settembre 2013
Ottobre 2013
Novembre 2013
Dicembre 2013
Gennaio 2014
Febbraio 2014
Marzo 2014
Aprile 2014
Maggio 2014
Giugno 2014
Luglio 2014
Agosto 2014
Settembre 2014
Ottobre 2014
Novembre 2014
Dicembre 2014
Gennaio 2015
Febbraio 2015
Marzo 2015
Aprile 2015
Maggio 2015
Giugno 2015
Luglio 2015
Agosto 2015
Settembre 2015
Ottobre 2015
Novembre 2015
Dicembre 2015
Gennaio 2016
Febbraio 2016
Marzo 2016
Aprile 2016
Maggio 2016
Giugno 2016
Luglio 2016
Agosto 2016
Settembre 2016
Ottobre 2016
Novembre 2016
Dicembre 2016
Gennaio 2017
Febbraio 2017
Marzo 2017
Aprile 2017
Maggio 2017
Giugno 2017
Luglio 2017
Agosto 2017
Settembre 2017
Ottobre 2017
Novembre 2017
Dicembre 2017
Gennaio 2018
Febbraio 2018
Marzo 2018
Aprile 2018
Maggio 2018
Giugno 2018
Luglio 2018
Agosto 2018
Settembre 2018
Ottobre 2018
Novembre 2018
Dicembre 2018
Gennaio 2019
Febbraio 2019
Marzo 2019
Aprile 2019
Maggio 2019
Giugno 2019
Luglio 2019
Agosto 2019
Settembre 2019
Ottobre 2019
Novembre 2019
Dicembre 2019
Gennaio 2020
Febbraio 2020
Marzo 2020
Aprile 2020
Maggio 2020
Giugno 2020
Luglio 2020
Agosto 2020
Settembre 2020
Ottobre 2020
Novembre 2020
Dicembre 2020
Gennaio 2021
Febbraio 2021
Marzo 2021
Aprile 2021
Maggio 2021
Giugno 2021
Luglio 2021
Agosto 2021
Settembre 2021
Ottobre 2021
Novembre 2021
Dicembre 2021
Gennaio 2022
Febbraio 2022
Marzo 2022
Aprile 2022
Maggio 2022
Giugno 2022
Luglio 2022
Agosto 2022
Settembre 2022
Ottobre 2022
Novembre 2022
Dicembre 2022
Gennaio 2023
Febbraio 2023
Marzo 2023
Aprile 2023
Maggio 2023
Giugno 2023
Luglio 2023
Agosto 2023
Settembre 2023
Ottobre 2023
Novembre 2023
Dicembre 2023
Gennaio 2024
Febbraio 2024
Marzo 2024
Aprile 2024
Maggio 2024
Giugno 2024
Luglio 2024
Agosto 2024
Settembre 2024
Ottobre 2024
Novembre 2024

Gli interventi più cliccati

Titolo
casa (8)
diario (1)
Letti di Amicizia (81)
libri (7)
Roberto (9)

Le fotografie più cliccate


Titolo

 


webmaster
www.lorenzoblanco.it








27/11/2024 @ 15:30:22
script eseguito in 290 ms