Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
"E' il tipo di lievito che desiderava?" Alle volte l'affettazione del barista non è cortesia posticcia né sbandierata e basta. Talvolta c'è di più che una maschera per farti felice. Si tratta di un uso biforcuto delle parole, dei toni. Le parole sono cortesi per essere più taglienti. "Tipo di lievito". A Roma "lievito" lo dicono solo le pasticciere o le antiche massaie. "Se un barista chiama "lievito" i "cornetti" c'è qualcosa che non va. Intanto il cornetto è "alla marmellata, alla crema". Mai "vuoto" ma piuttosto "semplice". Non si scappa. E sono cornetti (al limite danesi, saccottini. Mai lieviti. Non esiste una famiglia così "per bene" per indicare la colazione. Per farsi capire al bar. E' questione di vocabolario. Come al solito.
Di Carvelli (del 04/09/2006 @ 09:07:28, in diario, linkato 1010 volte)
Succede ogni volta che parlo dell'Argentina: mi sembra di esserci andato. Succede ogni volta che ci penso: penso di esserci andato. Ogni volta che poi mi dico "no, non ci sono andato" mi nasce una vertigine di fallimento e di necessità che purtroppo mi dura. Ancora oggi che progetto di andare e di vederla. Forse ci sono già stato, forse ci sono nato. Non in questa presenza, in questa storia. Alle volte è come un sogno dai ritagli un po' confusi: una sola visione che inequivocabile parla di aires. Forse troppi film o troppi libri. Forse è solo che bisogna assecondare un desiderio.
Di Carvelli (del 05/09/2006 @ 09:51:26, in diario, linkato 2118 volte)
Il mare, la notte... Io ricordo la preghiera dei baci, Il verde delle conifere negli occhi di lei Che angeli e diavoli affollavano, finestre Della sua mente povera e plagiata Dai racconti dei miei peccati o stranezze. Conosci tu parole che penetrano il cuore? Non voglio dire basta!, è falso!, oppure addio!. Al tramonto le cose si sdraiano Come un vecchio con la pipa. Ma non c'è riposo Nell'ansia della domanda Che risuona davvero Dentro il cuore.
Questa poesia è di Roberto Varese. Altre poesie si possono leggere qui www.ilprimoamore.com/testo_223.html Poche cose. Spesso la fortuna dei lettori non è la stessa degli editori. Non sto ovviamente parlando di vendite, di ricavi, di ristampe. Sto parlando di quegli incontri casuali ma aperti, dei piccoli vasi di pandora da cui verranno cose per un po'. Spesso la fortuna dei lettori è, definitivamente, l'incontro con un testo felice. Un testo che porterà con sé altri testi (le letture di quei testi) e le sensazioni legate a quelle (letture). Non sempre un testo felice...non sempre la felicità è intonata al clamore della sua conoscenza bensì al suo segreto. Come ad un'iniziazione, il piacere di una religione, la sua meditazione (mai il suo apparato). Con la poesia questa via di accesso si rende più diretta. Con alcuni poeti è così. Con la poesia è spesso così. Vi invito a leggere PICCOLA DEA (Fazi) di Roberto Varese che a un veicolo di amicizia deve ulteriore amicizia e questo succede quando un libro non è un libro. Non solo quello, almeno.
Un po' come fare la spesa. Biglietti tuoi o non tuoi (chissà perché chi fa la lista della spesa non è così spesso chi va materialmente a farla!) vergati con grafie incerte e non letterarie, illegibili qualche volta. Uno sull'altro prodotti, cose da avere, da comprare, che mancano, che non ci sono più. Che servono, che urgono. In fila. Gli uni sugli altri. Ecco cosa penso quando penso a "fare un elenco" ma non so a quale elenco penso. O non penso ad un elenco particolare ma alla "forma-elenco". All'idea che un campo di desideri/cose da fare/problemi possa essere tradotto in quella forma. Un elenco che non mi riesce facile è quello "delle cose a cui sono disposto a rinunciare". Per cui mi esercito con uno più facile (in fondo è estate, clima da scuole ancora non iniziate o da poco): COSE CHE VORREI. Una fetta di pane di Ceccano/una coppa di fragole di bosco, un libro nuovo, un coltello col manico di legno o d'osso, un gommone o un lettino gonfiabile (ma con un pezzo di mare), un cane da accarezzare, un gatto, un pediluvio, un asino, un pezzo di formaggio morbido, una soma, l'odore di una stalla e del suo fieno, il colore dei cieli di settembre (a mezzanotte, per un minuto), il sole (a mezzanotte), starnutire, bere, il rumore di un braccio nell'acqua, fumare una sigaretta dopo un caffè, essere invisibile o non farmi riconoscere dove mi cercano e io non voglio che mi vedano, avere otto anni, diciannove, piangere per un po', ridere per qualcosa di stupido, un'insalata con la cipolla, il sabato mattina, le torte, milano, torino e belluno (le parole), cancellare un sognoe sostituirlo con la realtà.
Di Carvelli (del 05/09/2006 @ 15:32:47, in diario, linkato 1278 volte)
Canto di un'area dismessa
Lavorarono qui, qui penarono (V. Sereni)
Vedete io non sono bello (o bella dovrei dire?, non conosco il mio sesso) ridotto a sterpaglie, ruggine e amianto un interminabile muro mi copre e mi rapisce dicevo, io non sono bello come una chiesa, fiero come un castello eppure porto l'impronta della vostra vita sono qua da decenni, mi conoscete come conoscete vostro padre o vostro figlio, presenza ormai scontata, eppure sono una forza del passato terribile ma inerme pronta (ecco che divento donna) a tutto. Adesso sembrate temermi, sì, come fossi l'ultimo sforzo andato male.
Lo sforzo di quando ero viva e loro erano vivi e voi lo eravate e tutto aveva un senso, il senso. L'unico possibile e immaginabile, l'unico passabile in una vita senza centro in una vita di cemento, di fibre artificiali e inganni industriali quando bello di una vita moderna e funzionale mi ergevo alla mia condanna, e non lo sapevo, fiero di una fierezza molto anni Cinquanta - gli anni di Bartali Coppi e Mira Lanza - e morivo, e non lo sapevo, di una morte lenta e viscosa.
Di Carvelli (del 06/09/2006 @ 09:35:07, in diario, linkato 1037 volte)
Scopro solo ora che Valerio Marchi ci ha lasciato. Non posso dire di averlo conosciuto bene ma ho almeno due motivi di gratitudine verso di lui. Sono motivi personali a cui vanno premessi prima i motivi "scientifici" su cui mi sembra valga la pena leggere cosa scrivono quelli di Carmilla in uno speciale a lui dedicato qui. Motivi, dicevo, personali. Parto dal secondo che segue questa breve nota ed è un contributo da lui fornito al mio libro Votare nel mucchio (Coniglio editore) che era/è un'ampia ma errante e, per gran parte, scriteriata ricognizione nel mondo politico (pre e post politico) e non. In breve un diario verso le elezioni 2006 rimasto molto (è un eufemismo, direi piuttosto totalmente) in ombra per una serie di sfortunate vicissitudini di cui già è stato fatto conto, almeno, personale. Il primo dei motivi è forse ancora più importante e riguarda la sua funzione di libraio. Apparentemente è più piccolo ma, come si dice nelle pagine di Carmilla, Valerio era soprattutto uno della strada, uno "sul campo", uno dal vivo, fuori dal palco. Chiedo venia per l'accumulo di tono "ligabue". Valerio era un appassionato, di libri e di cultura. Non posso non pensare a lui che riceve e che (immagino) vende il mio primo libro Bebo e altri ribelli. La rivoluzione spiegata alle commesse (nonluoghi) che quando esce è un libro di una casa editrice senza distribuzione. Valerio lo accoglie, lo promuove, lo sponsorizza. Il libro lo ha lui e altri pochi coraggiosi spacciatori di carta senza grandi sigle. Valerio ha fatto allora e poi continuato ad essere dopo, in un certo senso, produttore e consumatore, distributore e realizzatore, tramite e artefice di tutto quello che riguarda la cultura definita, con aggettivo discriminante e parzialmente compensativo, alternativa. Al di là di me, dei miei libri, dei miei ricordi, è per tutti questi motivi che quando penso alla morte di una persona come Valerio penso a quanto si approssima la fine di una specie. Per ottimismo la condisco con la speranza che anche alcune specie hanno rischiato l'estinzione e poi sono miracolosamente tornate a figliare e a sopravvivere.
A proposito di calcio
L’altro giorno sul parabrezza di un’auto in sosta ho notato un curioso volantino giallorosso. Invitava a mettere una croce su un simbolo con gli stessi colori della squadra di calcio e sulla scritta FORZA ROMA. Sono andato sul sito di questo fantomatico partito che ha un programma universale. Questo: UN VOTO CON IL CUORE. Le priorità tutte generiche e trasversali:
- Per la famiglia
- Per la scuola
- Per i trasporti - Contro la disoccupazione
- Contro il doping
- Contro la malasanità - Per la giustizia
- Per la cultura
- Per la vivibilità del tuo quartiere e della tua città.
Questo l’elenco dei facili desiderata. Comuni, a parte la tirata contro il doping ma a parte questo forse si poteva osare un “Per una giustizia sportiva” o “Contro gli arbitraggi di sudditanza”. E invece no.
La nascita del partito era giustificata per via regionale. Di campanile: “LA LEGA NORD HA I SUOI (PESSIMI) RAPPRESENTANTI POLITICI NELLE ISTITUZIONI E IN PARLAMENTO PERSINO IL PARTITO SARDO, IL PARTITO DEL SUD TIROLO, IL PARTITO DELLA VALLE D'AOSTA e ROMA?
PER DIFENDERE E TUTELARE I TUOI DIRITTI È ASSURDO VOTARE UN MILANESE O UN BOLOGNESE VOTA FORZA ROMA, IL SIMBOLO CHE TI RAPPRESENTA CHE FA SENTIRE LA TUA VOCE E LE TUE IDEE CHE NON TI TRADIRÀ MAI!” La postilla significativa è anche un invito “N.B. Vuoi partecipare attivamente al nostro progetto? Candidati per le elezioni per Comune e Municipio di Roma. AFFRETTATI Solo 10 posti a disposizione per municipio. TUTTO GRATIS.”
Ma c’è chi giura che il tifo batta altre strade nelle urne. E a parte alcune tifoserie fuori dal coro come quella del Livorno il consenso vada alle formazioni dell’estrema destra. Ne sono riprova i tanti adesivi che tempestano i motorini dove una sinergia simbolica assembla croci celtiche, svastiche e fasci littori ai colori sociali delle squadre.
Valerio Marchi, autore di Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio (DeriveApprodi) ed esperto di tifo calcistico semplifica “la curva è lo specchio della società. Rappresenta tutto l’arco costituzionale come qualsiasi altro mondo sociale. Considera che se le frange estreme degli ultras che identifichiamo come fascisti, ad esempio, conteranno cinquanta-cento persone non si può pensare che riescano a trascinare gli altri al voto. Faccio un esempio semplice. I raduni, che so di Forza Nuova vedono sfilare non più di cento duecento persone. Se ci fosse il travaso stadio-politica dovrebbero riuscire a richiamare almeno 5-7 mila persone e non succede.” Eppure anni fa la politica segnava schieramenti chiari? “Sono finiti i tempi dell’Inter di sinistra e proletaria e il Milan di destra e borghese – racconta Valerio Marchi – che veniva replicata da Roma e Lazio, Juventus e Torino. Ora sono partizioni non più leggibili. Ed è vero anche che la curva è spesso popolata di ragazzetti senza vera consapevolezza politica. Fare un analisi politica seria è controproducente. Dovremmo dire che la parola moda, anche se mi vergogno ad usarla in questo contesto, ha forse una sua giustificazione reale. Diciamo pure che usciamo da un quinquennio, 1990-95, nero nel senso politico della parola con il fenomeno virulento della xenofobia e del razzismo, della violenza. È un fenomeno però in riassorbimento. Tutto molto ingenuo poi perché questi ragazzetti infatuati dalla destra sarebbero i primi ad essere spazzati via da un governo della destra. Parliamo di gente che si fa le canne o tira coca alla faccia della legge Fini. Per quanto riguarda sinistra e destra mi sembra che le statistiche del Ministero dell’interno dava più o meno 37 curve a sinistra e 60 a destra, cito a memoria. Ma certo sono dati vaghi ed esistono sfumature di colore. Fondamentalmente ribadisco: al di là delle mitologie, il voto va a destra e sinistra e per tutto l’arco parlamentare seguendo logiche familiari, di convenzione, di interesse.” Come dire che lo stadio si esaurisce allo stadio e non arriva all’urna. “Ma è chiaro – sempre Marchi – che la curva offre una enclave per molte formazioni politiche estreme.”
(da Roberto Carvelli - Votare nel mucchio - Coniglio editore, Roma, 2006)
Non è parola giusta per essere declinata, coniugata, sposata con altri concetti. Il mio tempo. Il tempo che ho. Se mi avanza tempo. Sono forzature, manomissioni di un'idea. L'idea non esiste nella realtà delle lancette e neppure fuori. Eppure qualcosa va fatta. Eppure bisogna smontare le lancette e leggere al di là del quadro dei numeri. Non posso dire che il tempo lo fai tu. Non posso dire che il tempo non esiste come concetto astratto. Ma qualcosa la dovrò pure dire...Per dire che il tempo ha gli aggettivi e i verbi del nostro carattere. I miei, i tuoi, quelli di chi conosciamo... E posso pure dire che quegli aggettivi ad un certo punto li possimo mischiare tutti, ingannare, stravolgere. Ma se pure lo dico non creo disaffezione all'idea del tempo. Quella comune. Di un temo inattaccabile, immobile. Il nostro.
Di Carvelli (del 07/09/2006 @ 14:09:30, in diario, linkato 2408 volte)
Ricevo da Alberto Pellegatta, un giovane poeta milanese con già una notevole attenzione critica e pubblicazioni, nove poesie. Scelgo questa poesia-luogo che tratteggia la geografia di un abbandono. Le parole che la disegnano la liberano dal tempo di prima in un tempo di adesso, e il vuoto è ora - grazie ai versi - abitato come in un "cambio di destinazione d'uso" che rende familiare e contiguo, presente, quello che l'incuria aveva reso inospitale senza che ci sia bisogno di un restauro e quindi di un futuro.
Vedo dure campate di pietra
da questo schermo d’ingegno.
Sono le due direzioni
del corpo, elaborate e eventuali.
Salivano da una curva a dieci metri
dall’acqua, ferme all’albero vincolato
e ultramorto. I circuiti di siepi,
il grande salone del mondo e la veranda,
il posto delle seghe nella torre.
Negli anni sessanta è stata una casa
di cura, un posto imbiancato nel verde,
un acquario tiepido. I mobili non so,
sono spariti; le palafitte nel lago, per difendersi
e resistere, a noi non sono servite.
Ciò che rimane scende nel parco e nei vincoli
condominiali, insieme ai miei gattopardi.
Secondo te esisterebbero persone più interiori e persone più esteriori. Io apparterrei al secondo tipo. Mi pare di capire che non sia un'appartenenza prestigiosa. Non molto, dici. Mi rassegno al tuo sguardo severo e dico che forse è vero. Dopo un po' ne sono sicuro. E' vero: sono una persona esteriore. Una persona dotata di un'eccezionale esteriorità. Che non vuol dire bella. O interessante da vedere. Tuttaltro. Ma, al di là di tutto una persona che mette a proprio agio gli altri. E non è un male perché è solo in questi rari casi che la gente riesce a tirare fuori la propria esteriorità. E interiorità.
Qui sopra, un'opera di Benedetta Bonichi (Donna che si pettina, 1999)
Potrebbe andare meglio potrebbe andare peggio. Potrebbe essere presto per dirlo. Potrebbe essere tardi per averlo capito. Potrebbe essere una premonizione da accogliere o da cancellare. Un dubbio. Una certezza. Potrebbe essere che domani non ci siamo più noi. Né nessun altro. "Resistere" non è la parola. Neppure "cancellare". L'unica parola è il silenzio. Momentaneo, tranquillo. Niente che valga per sempre. Per ora così.
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