Il letto di ML (particolare)... di Carvelli
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Qui l'attenzione raggiunge forse la sua più pura forma, il suo nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o qualcuno, che nutre in misura uguale la poesia, l'intesa fra gli esseri, l'opposizione al male. Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione
Cristina Campo
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Su Specchio (La Stampa) segnalo il buon giudizio di Cucchi (nella sua rubrica di poesia) sui versi di Daniela D'Angelo che qui già abbiamo ricordato come editor di Perdersi a Roma e Kamasutra in smart (in parte)
Anche Daniela D’Angelo lavora sul breve e sul sottile [«Muta e filiforme / Attendo digiuni // Non ho più capelli»] riuscendo peraltro a volte, nel suo regime di economia verbale, a dare forza ed efficacia insolita al testo, come in questa poesia: «Ho un dolore / che sbatte come un’ala / che cola / dal mio occhio / tondo, grasso // Bestiame colpito a morte, sono / carne da macello».
da www.lastampa.it/_web/_RUBRICHE/poesia/default_poesia.asp
Di Carvelli (del 29/03/2005 @ 12:23:17, in diario, linkato 1008 volte)
II.
Se è così, se resta solo roba secca fatta di trame, come mio padre ridotto alle sue foto, o tante o poche, o vivo o morto non importa, meglio dimenticare: al posto dei ricordi un raschiamento di figure, voci e facce, perché fa male, perché, da sotto, dove ho dimenticato, prima o dopo venga da scoppiare a piangere, perché non riesco a tenerlo dentro, perché neanche l'amore che lo certifica, riesce a contenere i morti e i vivi.
da
Vicino a Parma
di Helena Janeczek
www.nazioneindiana.com/archives/001137.html#more
Ecco il mio segreto familiare, casalingo... sono possessore, felice possessore dell'esserino n.103. Ormai da anni. E ci sto bene. Sembra una di quelle testimonianze autentiche televisive...e infatti è autentica ma è su internet.
Già ma chi è l'esserino 103 e cos'è a questo punto un esserino?
Scopritelo (non su educhescional ciannel) ma su
www.esserini.it
Purtroppo non succede. Purtroppo succede. Che ti mandino dei dattiloscritti o delle mail con racconti o latro e tu dovresti portarli in una casa editrice. Magari nella tua, magari in una che conosci tu. Vedrai che succede - diceva un mio amico scrittore - ti manderanno le loro cose. E infatti è successo, succede. Purtroppo non succede che io abbia tanta influenza (per ora?) da farle pubblicare. Ho tentato con una ragazza che mi ha spedito dei racconti (alcuni molto belli per me) che avevano anche una loro circolarità suscettibile di raccoltina. Ma... qui c'è quello/a geloso del suo lavoro di scoutaggio, lì sei amato ma temuto, rispettato ma guardato con sospetto... Insomma, purtroppo è così. Prendiamola con filosofia...e la filosofia come apprendo dal blog della Lipperini è ormai diffusa. Cita la Fanucci (www.fanucci.it), ultima a dichiararsi:
Avviso agli aspiranti scrittori
Dopo soli due giorni dall'annuncio di una nuova collana di narrativa di autori italiani e stranieri, la casella di posta (elettronica e non) è stata letteralmente invasa di richieste di pubblicazione (oltre 200). Con queste poche righe, vorrei consigliare a tutti che per pubblicare bisogna rivolgersi alle agenzie letterarie e non direttamente agli editori. Ce ne sono tante e molto competenti. Io da parte mia dichiaro ufficialmente che non garantisco che venga presa visione di alcun manoscritto che non sia stato inviato attraverso un'agenzia letteraria. Ad ogni modo i manoscritti ricevuti NON verranno restituiti. Grazie per la collaborazione,
Sergio Fanucci
TERRA. La Cina infinita delle campagne
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... L’obiettivo di questa numero di PRIVATE è la ‘Cina fuori dalle città, la Cina infinita delle campagne’, e ha l’intenzione dichiarata di rendere giustizia a circa 900 milioni di persone che vivono in un territorio vastissimo ai margini del recente prodigio economico. Gli artisti presentati sono tutti cinesi, e fra i migliori fotografi del momento. |
Di Carvelli (del 30/03/2005 @ 10:09:52, in diario, linkato 1465 volte)
Un bel pezzo di Christian Raimo su Torraccia, un quartiere romano (Repubblica edizione romana). Ricco, pieno di storie (ne contiene una meravigliosa, una di quelle che rubi e scrivi) e di facce. Bella l'idea che un quartiere abbia una sua autocoscienza. Bella la filosofia che s'insinua nella sua pagina
Di Carvelli (del 30/03/2005 @ 10:46:35, in diario, linkato 1112 volte)
Da "In fondo a destra"
NEL LABIRINTO DI UN UOMO RIDICOLO…… «E’ un labirinto. Non per modo di dire. E’ un labirinto vero e proprio. Grande. Molto grande. E noi ci siamo capitati dentro. E vogliamo uscire. E non ce la facciamo. Capisce, signora?» E non capiva ancora. Mi stava vicina. «Ma io devo uscire, ho un appuntamento», «Signora, io non gliel'impedisco, cerchi», «E lei non cerca?», «Cerco anch'io, ma ognuno per la sua strada, qui si deve andar da soli, con il proprio istinto, con i propri nervi», «Ma io da sola ho paura», « Stia tranquilla. Non la lascio qui sola. Troverà presto compagnia. C’è tanta gente che non la pensa come me. Che sta insieme. Che si scambia idee, che si consiglia. Ecco, sente? s'avvicina qualcuno, un gruppo, sono laggiù, li vede? gli vada incontro. Addio, signora».
1938
La mèstra ad Sant'Armàid dal vólti, e' dopmezdè, la s céud tla cambra e la zènd una Giubek. La n fómma. Stuglèda sòura e' lèt la guèrda ch'a s cunsómma. U i pis l'udòur. Dal vólti u i vén da pianz.
1938 - La maestra di Sant'Ermete / delle Volte, il pomeriggio, / si chiude in camera e accende una Giubek. / Non fuma. / Sdraiata sul letto / la guarda consumarsi. / Le piace l'odore. / Delle volte le viene da piangere.
Mi duole aver perso i suoi libri (prestati per una via non più percorribile... forse bisognerebbe sempre far fare ritorno ai libri, alle persone). Mi duole pensare al poco della sua scrittura che però sarà un indelebile poco.
Di Carvelli (del 30/03/2005 @ 13:04:30, in diario, linkato 1147 volte)
il manifesto di ieri. Massimo Raffaeli. Mi sembra un buon intervento. Serio e misurato nelle premesse. Del libro ancora non scriverei non avendone ultimato la lettura (per ora posso solo dire che è un ottimo esordio) ma lo recensirò sul prossimo BLUE.
Radiografia del bestseller Piperno Né capolavoro né romanzo fallito, Con le peggiori intenzioni è l'esordio di un narratore che, chiacchiere a parte, non ha creato alcuna «generazione», né si avvicina ai romanzieri cui è stato paragonato. Notevole la sua tenuta, sebbene affetta da sbalzi di temperatura stilistica MASSIMO RAFFAELI Èdifficile parlare di un libro e valutarlo avendolo letto dopo la incorporazione e transustanziazione che i media hanno operato su di esso mutandolo in best seller: equivale al fatto di assistere a una partita di calcio dopo averla vista sezionare per ore alla moviola e averne sentito straparlare per giorni nei processi televisivi, quando il gioco è divenuto un'eclissi e un pretesto che dia luogo agli impulsi della mitologia o, nel caso opposto, della distorsione e della allucinazione. Questo, per certi versi, è anche il caso del romanzo di Alessandro Piperno, Con le peggiori intenzioni (Mondadori, pp. 304, Euro 17.00), un esordio accompagnato da un chiasso mediatico di cui si ricordano pochi precedenti, compresa un'intera trasmissione della «7» e una lunga intervista all'autore comparsa sul magazine del Corriere della sera con tanto di copertina, sul serio sciagurata, che voleva alludere a una inesistente Generazione Piperno. Due sono almeno gli inconvenienti per il lettore. In primo luogo alla forma del testo, e al suo nudo dettato, è subentrata la singolare silhouette di Daniel Sonnino, nome del protagonista del romanzo, con le sue caratteristiche e i suoi modi di dire, come fosse una decalcomania ovvero un portavoce generazionale, cui si è presto sovrapposta la fisiognomica di Alessandro Piperno in persona con tutti i suoi pensieri sul mondo (quanti anni ha, cosa fa, cosa mangia, come vive e chi vede, se è tifoso della Lazio e perché etc.): ciò ha giovato enormemente alla vendita del libro ma ne ha retrocesso ipso facto la disamina a metodiche inessenziali e primordiali, con rare eccezioni. ( Marcel Proust, cui Piperno ha dedicato anni fa uno studio molto intelligente, criticava Sainte-Beuve accusandolo di usare le biografie degli scrittori in modo meccanico e parassitario: nel caso attuale, come per ogni best seller, ci si è contentati di ancor meno, anzi del minimo, avallando la chiacchiera sul personaggio, il medesimo che firma il romanzo, nato a Roma nel 1972 e docente all'Università di Tor Vegata, e quello da lui simulato sulla pagina). Il secondo inconveniente, che procede direttamente dal primo, ha comportato la sostituzione del giudizio critico (basta aprire Internet per verificarlo) coi surrogati della dichiarazione di fede, l'aut-aut di chi da un lato scomoda Philip Roth o Morderai Richler e dall'altro sospetta l'apocrifo, ritenendolo uno smaccato falso d'autore.
A una lettura il più possibile spassionata e lontana dal chiasso, Con le peggiori intenzioni non appare né l'una né l'altra cosa, vale a dire né un capolavoro né un libro fallito ( e nemmeno una costruzione mediatica corvèable à merci); semmai, si tratta tanto di un esordio notevole per tenuta e «fiato» narrativo, quanto di un libro imperfetto per asimmetria di costruzione e per gli sbalzi della temperatura linguistico-stilistica: ad ogni modo Piperno ha, dello scrittore autentico, l'energia che non diminuisce sotto sforzo e appunto il fiato del fondista, la capacità di stare sulla pagina e lavorarla in terza dimensione, oltre ad uno spazio-tempo tutto suo, intimamente posseduto, cui ritorna con ossessione e si direbbe per costrizione psicofisica. È la Roma dei Parioli, dove il protagonista Daniel Sonnino è nato trent'anni fa e dove ha visto diramarsi, in avanti e all'indietro, gli ibridi del destino di chi discende tanto da una couche ebraica, cosmopolita e per così dire speziata di qualsiasi avventura esistenziale, quanto da una schiatta di cattolici marchigiani, solida e laconica eppure latrice di discendenze imprevedibili.
Perciò il romanzo si divide in due parti, tuttavia diseguali, che stanno fra loro come possono starci una saga familiare, dove l'io narrante si dissimula nei ricordi di un bambino oppure funge da docile catalizzatore della memoria, e invece un romanzo di formazione vero e proprio, quando il protagonista, adolescente e poi adulto, chiede un senso al suo vivere e crescere, ne valuta retrospettivamente il prezzo e ne riconosce la fatalità. Nel romanzo di famiglia, cento pagine compatte e virate nei colori di una stupefazione che assorbe la nostalgia, si accampa la vicenda del nonno Bepy Sonnino, vale a dire una vita di eccessi gloriosi e caduchi, una parabola che tiene dentro tutta l'esistenza e la dilata per cerchi concentrici, fino a smemorarsene e perderla nel punto in cui la generosità e lo spreco sono una cosa sola, così come il valore e il disonore, per squassante paradosso, coincidono.
Bepy vive alla potenza ennesima (le donne, il denaro, gli amici, lo stuolo dei sedotti e degli adulatori) ma il suo è un esempio tanto eccessivo e nella sostanza suicida da non lasciare eredità possibili se non nel disamore e nel rancore, ovvero in un rammarico, agli occhi di Daniel, che equivale a un implicito senso di frustrazione e impotenza, come di chi riconoscesse nella totalità perduta il crisma di una propria e coatta parzialità; e infatti: «La vita, a sentirgliela descrivere, è corsa su un carro dorato. La sua aggettivazione è schiava del grado assoluto, così come gli avverbi dell'iperbole: `egregiamente', `mirabilmente', `stupendamente'. E, d'altronde, anche dopo, nella disgrazia, Bepy non perderà l'abitudine del grande artista pop di trasformare la merda in oro.»
Dunque è difficile sopravvivere a Bepy. Pur mantenendo lo stesso perimetro del romanzo familiare (anzi deducendone per esteso le figure implicite e ulteriori) il romanzo di formazione di Daniel è come fosse orfano del vigore e della pienezza che prima gli garantiva l'ombra invadente di Bepy. Ogni personaggio ne viene amputato o meglio opacizzato; lo stesso percorso formativo di Daniel che culmina in un grande amore andato a male, la sua epica dell'irresolutezza, patisce una specie di impasse e un progressivo raffreddamento. Se prima Bepy attirava i personaggi astanti nel vortice, o nel suo cono d'ombra, facendone quasi il proprio colloide, qui le figure che entrano ed escono dalla vita del protagonista (la madre, gli zii, gli amici del liceo, la Dafne sempre fuggitiva e infine catastrofica) sono più riconoscibili e torniti ma anche più frontali e meccanici. Magari più «tipici» di quell'ambiente e di quel passato prossimo, però decisamente meno vividi e liberi: infatti, più la ricostruzione d'epoca si fa sottile e dettagliata, più senti che l'effetto è voluto invece che naturalmente trovato; e allo stesso modo, man mano che la pagina si nutre di dettagli storico-ambientali e digressioni, senti che si ingessa e procede scontando una visibile inerzia. (Ad esempio i numerosi richiami al fatto che il protagonista sia un professore universitario a contratto e che abbia scritto un libro da titolo Tutti gli ebrei antisemiti, se non vogliono essere strizzate d'occhio a Roth, sono semplici decorazioni, un ingombro). La stessa inerzia da cui sembrano fuggire le pagine finali del romanzo, quando Daniel diviene adulto sfregiando il suo ambiente e, alla lettera, compromettendosi: ma pure questo, in chiave struggente e autoparodistica, è un modo per tornare a Bepy, e celebrarne il destino.
Di Carvelli (del 31/03/2005 @ 09:13:10, in diario, linkato 1064 volte)
Vorrei vorrei che uno studio serio di uan rivista americana dicesse di noi e della nostra reazione diversa ad una tazza o un vaso che precipita dalle nostre mani e 1 SI ROMPE, 2 RIMBALZA SENZA SBECCATURE. Vorrei vorrei che si sapesse quanto la nostra (diversa e mutevole) personalità creda a quale delle due e quale sia in relazione a ciò la sua impressione contraria. Cose così. Uno studio serio. Una rivista americana. Psicologi e medici in equipe e tanti cocci a terra. Oppure no.
Ieri con D. The Assassination. Ma perché ci ostiniamo ad andare a vedere i film insieme (ma è chiaro per amicizia) se poi lui esce scontento quando io mi sciolgo di complimenti e viceversa. Io comunque dico che mi è piaciuto questo film e onore al merito a Sean Penn (ci ripetiamo) uno dei più grandi attori americani. Il monocorde non mi disturba, la fotografia è sublime, il clima (il climax forse meno) è ben raccontato. Ma D. se ne va amareggiato. Uno per uno.
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