Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 09/11/2007 @ 14:57:05, in diario, linkato 1390 volte)
Rubo un po' di corda scorsoia dal sito di Mattatoia.
Claudel, tornando dall'Estremo Oriente, mi diceva quanto fosse turbato dallo spreco in Francia. Mia madre mi insegnava a vuotare sempre il bicchiere di sidro prima di alzarmi da tavola e a non prendere mai più pane di quanto potessi mangiarne. Di sicuro qualcosa di quell'idea di economia sopravvive in questo urgente bisogno di misura che sento.
Chi scrive è André Gide e il prezioso volumetto da cui sono tratte queste frasi è meritevolmente pubblicato dalla Archinto col titolo - d'accordo non invitante ma il suo - Consigli a un giovane scrittore. Il tema dell'economia mi è vicino e così pure l'idea dello spreco. Ma è un tema non il suo svolgimento un po' ovvio, un'idea non la sua conclusione e trovo bello che la meditazione sulla scrittura di Gide parta da qui.
E' un bel sogno. Sono in macchina. Guido. Da solo. Non so come ma penso che la via che percorro sia la via Salaria andando da Roma verso fuori. A sinistra scorrono campi seminati. L'impressione è quella di scorrere lo sfondo di tele come Guidoriccio o la Gioconda.
Mentre a destra (lato passeggero, vuoto) passo venditori di pentole di rame, ceramiche (come può acccadere dalle parti di Deruta). Ma la strada è in leggera discesa e questo dà un senso sottile di possesso come se andare fosse un dominare. La strada va e io continuo a guidare. Il sogno è andare (non guidare: non c'è stanchezza, senso del pericolo o cose così). E il sogno è bello. Il risveglio lo è. Sereno. Come se sognare fosse stato autovaticinarsi una serenità. La serenità di chi procede senza paura e senza ostacoli.
Sopra è aperto. Siamo ognuno in una cabina ma sopra è aperto. Ci parliamo per stanza. A rimpalli. Cose stupide per lo più: palle corte se dovessimo parlare per tennis. Battute facili comunque. Ognuno sta sul suo lettino con la fisioterapia adeguata. Nel frattempo succede poco. Qualche frase, qualche confessione di stupidità, di semplicità. E' tutto molto confortevole. Tutto. Nessuna parola ha la forza di offenderti, ferirti. Forse neppure di farti pensare. O così sembra. Piuttosto ci sono cose senza ragione, senza interesse, forma. Niente di troppo pensoso. La signora autoironizza sulla sua bruttezza "magari mi violentassero". Tutti ridono. Non avrebbe senso altrove questa comicità.
Certe volte mi piace immaginare le piccolezze di cui siamo artefici o vittime dinanzi all'implacabilità del giudizio del fuoco. Le piccole fughe, quelle infingardaggini da bambini o bambine, il dito davanti al quale nascondiamo il nostro corpo enorme, le nostre malefatte, i nostri piccoli interessi che proteggiamo - piccoli e li proteggiamo. La fortuna di non essere mai messi davanti ad un contraddittorio. La certezza, anzi. L'abuso di quel nostro piccolo potere. Ho davanti ai miei occhi quelle facce tronfie della loro sicurezza. Le conoscete no? Avete presente? Quelle facce lì: tutte piene di birignao, della loro non-etica dell'etica come se bon ton e saper vivere coincidessero con la teoria e non piuttosto con una buona presentazione/introduzione della teoria. Certe volte - non sempre - immagino quelle facce lì, davanti alla giustizia, all'etica del fuoco. Che facce farebbero? Ancora birignao? Ancora "buon gusto", parole così? Chissà!
Succede e non succede: il mare non mosso, il sole. Il mare mosso, le nuvole, allattare i bambini, addormentarli. Il cane che ha fame, che fa il bagno. La casa di Barbie, il vestito di Ken. I fogli all'acqua. Niente. Il fuori-stagione, il fuori-copione. Acqua salata, Acqua che non c'è. Che poi c'è. Non anelli. Non collane. Né cavalli.
Di Carvelli (del 31/10/2007 @ 17:16:31, in diario, linkato 1871 volte)
Anche magari per ricordare Genova in un modo migliore e anche perché ho finito una quasidefinitiva stesura di una cosa nuova che nasce da un impulso suo che voglio ricordare una persona a me cara. Fulvia Bardelli. Il nucleo centrale di quello che oggi ho finito di lavorare è una cosa che lei lesse (e che poi uscì in rivista) ben dieci, quindici? anni or sono. Da allora ho continuato a mettere mani a quel corpus di cose famigliari che oggi è più gonfio e tumefatto, più vissuto e sofferto. Fulvia fu una delle persone che mi incoraggio di più alla scrittura. Lesse quel racconto (ma per me era già - nelle intenzioni - il capitolo di qualcosa di più ampio) e mi chiese di leggere altro. Poi ci conoscemmo e più di qualche volta ci siamo visti. Alla fine - non mancavo mai passando per Genova per varie situazioni di cercarla - ci saremmo incontrati quasi cinque volte. Una volta anche a Roma quando lavorava per il Teatro Modena ed era in trasferta. Due cose non voglio dimenticare - la seconda è l'incoraggiamento che ho detto - la prima è il pranzo in un baretto di Sampierdarena. Forse quaranta minuti forse meno. Lì, per l'ultima volta, per la prima volta, conoscevo tutta la sua vita come se fosse un testamento, il rantolo di una disperazione che dovevo mandare a memoria come fossi una spia che dopo deve distruggere le prove e conservare a mente una lezione che forse gli salverà la vita al momento opportuno. Forse non è ancora oggi - oggi che ho finito di scrivere da quel racconto un romanzo breve - ma sentivo di ricordarla così. Oggi. Fulvia Bardelli.
Di Carvelli (del 31/10/2007 @ 17:10:19, in diario, linkato 1645 volte)
Approfitto di questa bella poesia di una poetessa (di lingua) slovena Vanja Strle per segnalarvi la bella rivista-sito di Alessio Brandolini Fili d'Aquilone (www.filidaquilone.it).
ZAKAJ JAZ BIVAM Veš, jaz bivam zaradi ljubezni. Ta ljubezen, zaradi katere jaz sem, je kot piramida grajena. Njena ploskev je široka kot prostor med svetovi in njen vrh nima konca.
Delam in zidam to ljubezen, ki je moje edino delo. Delam in zidam in bivam - zaradi ljubezni.
PERCHÉ ESISTO
Sai, io esisto per merito dell'amore. Questo amore a cui debbo l'esistenza è costruito come una piramide. La sua base è larga come lo spazio tra i mondi e il suo vertice non ha fine.
Mi applico e costruisco questo amore che è la mia unica opera. Mi applico e costruisco ed esisto - per merito dell'amore.
Di Carvelli (del 30/10/2007 @ 16:29:24, in diario, linkato 1490 volte)
Segnalo l'interessante intervista di Giovanna Zucconi a Silvia Ballestra, uscita su Tuttolibri di sabato scorso. L'inizio. Il resto qui.
Succede tutto prima dei vent'anni, diceva Flannery O'Connor e dice Silvia Ballestra. Sarà forse perché di anni ne ha trentotto che Silvia è così tosta e così d'altri tempi, o anzi una tosta d'antan (visti questi, di tempi, è un complimento massimo). Nelle piccole cose e nelle grandi, quando parla della sua formazione underground, di femminismo, o quando dice che ogni volta che esce per comprarsi un golf, perché li ha tutti a pezzi, torna a casa senza maglioni ma invece carica di saggi e romanzi. «Finisco sempre in libreria, come i cavalli che tornano alla stalla». Quale libreria? «In una Feltrinelli, anche se mi secca dirlo perché non mi piacciono più. Negli anni in cui abitavo a Bologna andavo in quella di piazza Ravegnana, dove Romano Montroni e gli altri erano bravi librai. Non è più così. Una volta le vetrine erano piene di piccoli editori, adesso sono vendute alla monomarca. È un grande dolore». Silvia Ballestra non ama il mainstream. Mai, in nulla. Forse perché prima dei vent'anni, quando tutto è successo, si è formata nella ricerca, nell'underground. «È il mio peccato originale, forse il mio difetto. Nella musica, sono più affezionata agli esordienti che ai grandi cantanti. Nel cinema e nelle letture, idem. Non leggo premi Nobel, sarei più per i piccoli, per la nicchia. Per me conta come arrivi alle cose, quanta fatica fai per scoprirle, è un percorso anche emotivo. Da ragazza ho letto tantissimo, essendo cresciuta in un posto desolato dove c'erano soltanto due librerie... ». San Benedetto del Tronto, nelle Marche. «...i libri andavano cercati, scoperti. Era un piacere in più, come pure parlarne con l'unico amico che leggeva, e che poi è finito anche lui a scrivere, Emidio Clementi. Erano anni di scoperte, in letteratura, nel cinema, nella musica. Adesso tutto è a portata, allora Paris, Texas di Wim Wenders in un cineforum era un'emozione. La difficoltà valorizzava ». Non c'è niente di nostalgico né dimoralistico, nel rilevare la distanza fra allora e oggi. Semmai una sana incazzatura politica. «La televisione ha vinto, Moccia è il Grande Fratello. Nelle case editrici non c'è più progetto, ricerca, catalogo: si spera soltanto nel prossimo bestseller». Qualcuno vince alla lotteria, però. Tamaro, Mazzantini, Moccia... «Le grande aziende funzionano così, e sono loro che contano. La tragedia di questi anni è questa, si restringono gli spazi di libertà e democrazia. Agli inizi degli Anni Novanta io ho fatto in tempo a passare; è passato Tondelli, uno di provincia, non figlio di notabili. Oggi l'editoria è cambiata, governa il marketing, il criterio è l'utile. Ma i libri non sono mocassini o scaldabagni. E in chi legge, e in chi scrive, sarebbe auspicabile una conoscenza della letteratura, non dei prodotti editoriali di mercato».
L'intervista completa.
Di Carvelli (del 30/10/2007 @ 09:02:04, in diario, linkato 1430 volte)
Fanno che non devono andare a lavoro: le mani indugiano sulle pagine del giornale, il dito suona il bordo della tazza dove fuma il the. Spezzano lentamente un biscotto, lo posano sul piattino, lo rotenano nella bevanda calda e poi fumano e si alzano e si risiedono. Fra venti minuti li prende una scossa da capo a piedi e si vestono. Fuori pestano il marciapiede come un fronte da conquistare e poi con le loro auto aggrediscono tutti i motorini e le altre macchine che incrociano. E' la loro guerra. Se la vincono, dopo, in ufficio, ritorneranno a parlare quieti di licenziamenti e promozioni, di pratiche da sbrigare. Come tutti i giorni.
Di Carvelli (del 29/10/2007 @ 10:37:01, in diario, linkato 1476 volte)
Un sito molto vitale di e su Genova www.mentelocale.it fa conoscere a Maurizio Maggiani il mio disappunto per la somiglianza nei titoli (nei titoli) tra il mio libro uscito nel 2004 e il suo (in uscita) per Feltrinelli. Pubblico il link alla lettera di Maggiani, che in un primo tempo era stata titolata TUTTI GLI SCRITTORI RUBANO e la mia,di risposta, qui di seguito.
Gentile Maurizio Maggiani
alle elementari, ebbi una maestra che abiurò all’improvviso la matematica e si convertì all’insiemistica. Non so cosa le fosse successo e comunque durò solo per un anno ma forse per questo rimasi involontariamente affascinato da quel metodo fatto di cerchi e cerchietti e, pur avendolo successivamente dimenticato, mi sono trovato spesso a farne tesoro. Abbiamo scritto, io e lei, Maggiani, due guide letterarie (INSIEME: GUIDE LETTERARIE) e di un sottoinsieme particolare, un cerchietto nel cerchietto (SOTTOINSIEME: GUIDE LETTERARIE DI CITTA’ ITALIANE SCRITTE DA SCRITTORI ITALIANI), in questi anni particolarmente in voga. Fino a qui, io mi sento ben contento di trovarmi in questi due cerchi al fianco del suo nome più noto e blasonato. Quello che mi infastidisce è trovarmi al suo fianco, in quel sottoinsieme con un nome in codice molto simile. Anzi, per rimanere alle elementari, diciamo a una coniugazione del verbo: PERDERSI (A)/MI SONO PERSO (A) a cui segue solo il nome di una città diversa. Il tutto a una distanza breve di anni dalla pubblicazione del mio libro. Provo a rimettere vicine le parole non senza un brivido: Perdersi a Roma. Guida insolita e sentimentale e Mi sono perso a Genova. Una guida (originariamente, come risulta da tutti i siti dell’acquisto on line di libri, doveva chiamarsi Guida sognante per perdersi a Genova).
Non mi fa lo stesso effetto della parola “strada” nei romanzi arcinoti che cita, talmente noti da far evaporare qualsiasi accusa di somiglianza proprio perché il confronto è sotto gli occhi di tutti. D’altronde “strada” è parola talmente generica, credo, che un uomo della sua profonda cultura non faticherebbe a riscontrare esempi di titoli di romanzi nella sua e in altre lingue della letteratura.
Lei, Maggiani, gigioneggia e ridimensiona riflettendo genericamente su difetti di retina, donne e laghi in cui faremmo pesca comune o sull’utilizzo dello stesso dizionario quando sarebbe bastato evocare lo spettro della “contemporaneità”, quello stesso che, però, fa stridere i due titoli. Poi conclude con un tono muscolare in cui mette avanti il suo editore per titolo e IV di copertina. Già, ha ragione lei: sono cazzatine (uso il suo dizionario) dal punto da cui lei guarda e lo saranno ancor più quando i muscoli del suo grande editore – che ci tengo ribadirlo ha tutta la mia stima – e relativa grande rete distributiva avrà la forza di cancellare un ricordo più piccolo. Dal mio punto di vista non lo sono, cazzatine. Se fossimo nel mondo della pubblicità – e forse ahimè in parte ci siamo – l’eventuale creativo, una volta smascherato, avrebbe fatto la figura che merita. Lei si immagina una marca di pasta con un messaggio di vendita troppo simile ad un altro? “Muitoni: e c’è casa”?
Non sono così naïf da pensare di mettere il copyright ad un verbo (perdersi) ma vedere pubblicare una guida letteraria (una guida letteraria, non un romanzo) con l’espresso invito nel titolo a perdersi in una città come modo conoscitivo, pur dopo eccelsi secoli di flanerie di cui tutti abbiamo fatto e faremo tesoro, non mi aspettavo che accadesse a pochi anni, ad un Premio Strega e ad un grande editore. Scrivo così ma in cuore ho un’altra sgradevole sensazione che mi sforzo di scacciare nonostante molti, del nostro stesso ambiente, Maggiani, mi ricordino in questi giorni quello che lei tra le righe sembra voler dire ovvero che è così...che si sa, che tutti gli scrittori rubano, che i grandi rubano o s’ispirano ai piccoli mentre poi sono molto orgogliosi di non somigliare ai pari loro e compagnia cantando.
Quello che avrei voluto io, invece, in questi giorni, Maggiani, è che si alzasse una riflessione diversa – che non mi aspettavo potesse venire da lei o dal suo editore – sulle sproporzioni tra la piccola editoria e la grande (e non con il solo gusto del “piccolo è bello” che spesso è oleografia che nasconde problematiche serie come mancati pagamenti, scarsa trasparenza nelle rendicontazioni o strozzatura dei distributori, scarsa visibilità commerciale e mediatica ecc.), la mancanza di un codice di comportamento, il ricorso al marketing letterario, gli autori non sostenuti con forza dalla critica e quelli vivamente caldeggiati, il tema sempre vivo delle scuderie et similia, la mancata capacità di dragaggio e di arbitrato della comunicazione letteraria (fu critica letteraria) quella comunicazione letteraria purtroppo spesso presa in “polemiche di successo” e in quel sano e taciturno saper vivere.
Con cordialità per lei e quelli di mentelocale.it che hanno ospitato questo scambio
Roberto Carvelli
|