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 il letto di angelo... di Carvelli
 
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In un certo senso, avere una dipendenza è sinonimo di intraprendenza. Una bella dipendenza come si deve toglie alla morte l'elemento sorpresa. Perciò si può progettare la propria fine, eccome. (...) La verità è che il sesso non è sesso se ogni volta non lo fai con un partner diverso. La prima volta è anche l'unica in cui uno c'è dentro completamente, con la testa e con il corpo.

Chuck Palahniuk
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carvelli (del 01/06/2006 @ 14:57:43, in diario, linkato 848 volte)

Un libro preso a caso da una libreria non tua. Un libro per un viaggio. O, meglio: un libro un viaggio. Un libro non tuo e che, quindi, dovrai restituire. Un libro con già delle indicazioni di lettura. Sottolineature, frecce. Scelgo di leggere quello più sottolineato. Il titolo della raccolta è "Per grazia ricevuta", l'autrice Valeria Parrella. Per ricevere una grazia: sarebbe un titolo migliore per questa mattina incerta ma provo a guardare al futuro con certezza più che speranza. Ma PGR era anche il titolo di un vecchio racconto del mio primo libro oltre - meglio - ad essere il titolo di un bel disco. Ma il racconto si chiama "L'amico immaginato" e dura una metro. Da una fermata all'altra. Salgo all'icipit e scendo all'explicit. Chissà se ricorderò il racconto o il viaggio o questo viaggio racconto. O la pecora in formaldeide con cui mi connetto e che mi ricorda il bellissimo MADRE di Napoli visto (visto...tre quattro mesi fa?). Per ora mi perdo nell'immaginazione degli amici, nelle amicizie immateriali. Nell'immaterialità dell'incontro. Chissà se sono l'amico immaginario di qualcuno?Che mi ricordo lo sono stato. Che forse lo sono ancora. Provo a chiedermi se questa concentrazione sulla pagina mi esclude dalla consapevolezza di uno sguardo  (terzo? il secondo sarebbe quello mio sul racconto?). Mi ferma alla considerazione del bisogno della terzietà. Il due non conclude, oppone. Forse serve un tre (immateriale, immaginario, mistico, religioso). Serve un ancora, serve un in più. Forse. Ma il racconto dura una metro e questi pensieri non finiscono. Forse neppure si muore. Forse da qualche parte qualcuno un giorno sceglierà la nostra vita per indossarla e prima l'avrà osservata come noi questa pecora di Hirst. Forse no.

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Di Carvelli (del 05/06/2006 @ 09:08:01, in diario, linkato 973 volte)

Ancora metro, ancora un libro. Qui la lunghezza non collima. Da qui a lì 57 pagine ma non il libro intero che è PHILIPPE GRIMBERT "Un segreto" (Bompiani) che è un Premio Goncourt des Lycéens. Distolgo lo sguardo dalla pagina solo quando un ragazzo racconta ad un suo compagno di scuola una disavventura d'aula. Hanno professori diversi e il brufoloso e occhialuto ragazzo alto dice all'altro dell'appello con accento greco di un suo nuovo (nuovo?) professore. Forse un supplente? Lamenta la strana pronuncia e le risate a seguire della lettura dei cognomi. C'è da crederlo l'imbarazzo: sono discordanze che feriscono alla loro età, effrazioni del proprio profilo, imbarazzi. Non posso non rimbalzare questa rabbia (sia pure partita da considerazioni utilitaristiche e comprensibilmente difensive) razzista su quella con cui l'autore ricorda la perpetuazione del genocidio e "il dolore dell'essere ebrei" in uno scambio di lettere all'anagrafe come un colpo di spazzola lessicale su una condizione di infinito dolore e vergogna esistenziale. Una cattiva pronuncia, dunque, può portare dolore o salvezza.

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Roberto Carvelli, Letti

di Alessio Brandolini

Letti (Voland, 2004) è una raccolta di 100 brevissime storie che tracciano il percorso di vita dell'autore, Roberto Carvelli (Roma, 1968), avendo sempre come punto di partenza il letto: quello dove si è cresciuti, o quello dove immobile giaceva il nonno con il vestito buono "che qualcuno gli avrà infilato lungo un corpo senza altra resistenza che il peso morto". Nel libro si racconta di giacigli di paglia, o costruiti sugli alberi e persino di letti fatti di parole: "frasi di cortesia le lenzuola, il materasso un doppiosenso insistito". E poi letti sul soppalco, d'ospedale, e persino "il letto tra i letti", in un convento sconsacrato sui monti della Tolfa.

Storie brevi dove si racconta di passaggi e di luoghi, di persone e di ricordi, che raramente superano le due pagine, ridotti all'osso, all'essenziale eppure la linga è sempre raffinata e tesa e abile nel tracciare piccoli mondi, ma cesellati in modo preciso.

Roberto Carvelli, vive a Roma, dove è nato nel 1968. Ha esordito nel 2002 con "Bebo e altri ribelli. La rivoluzione spiegata alle commesse" (nonluoghi libere edizioni). Poi ha pubblicato "Perdersi a Roma. Guida insolita e sentimentale" (2004, edizioni interculturali) e "La Comunità Porno. La scena hard italiana in presa diretta" (2004, Coniglio Editore).

Roberto Carvelli, Letti (Roma, Voland, 2004, pagg. 112, euro 10)

  libri
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LETTI, ROBERTO CARVELLI
La storia della propria vita raccontata attraverso i letti
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La copertina trucco! L’IDEA ALLA BASE DEL VOLUME È SEMPLICE: NARRARE, O MEGLIO: RIASSUMERE IN FORMA DI prosa creativa, la storia della propria esistenza – e cioè dell’esistenza di tutti noi - attraverso il filtro dei... letti che ciascuno ha attraversato, amato, condiviso, nei quali si è andato a rintanare nel momento del disagio, della paura, del timore di non riuscire a varcare la linea d’ombra fatidica che separa la giovinezza dall’età adulta. I letti, insomma, interpretati come rito di passaggio, occasione di cambiamento, momento di transizione tra un’esperienza e un’altra. C’è stato il letto del pianto e quello del riso, quello della riflessione e del rimpianto. E poi, a ben guardare, ci sono alcune sorprese.
   Chi di noi ricorda il primo letto, quello che arriva subito dopo la culla dell’infanzia? Quel letto corto che, ad un certo punto, va tolto di mezzo? Quello che con un tetto di lenzuola abbiamo trasformato in capanna teatro dei primi giochi?
Il vortice della vita tutto corrompe, travolge, rende vano.
   Carvelli non ci sta e prova a razionalizzare. Estremizzando un oggetto-simbolo e simbolico al contempo ed elevandolo a metafora della fugacità dell’essere faticosamente uomini.
   Affresca brevi sequenze sull’atto del dormire viste e vissute come opportunità di evoluzione anche spirituale, cui dedichiamo un terzo della nostra vita (questo dicono le statistiche). Perché vi è altresì molta poesia, o meglio può esservi, in un letto, in una coperta rimboccata amorevolmente, nella lamella di sole che filtra dalla persiana e ferisce lo sguardo.
   L’amore – sempre lui – la fa da padrone anche ed ovviamente quando di parla di letti.
   Ci sono i letti dell’amore da soli, quelli dell’amore in due e dell’affrancamento (fuga?) dal nucleo familiare originario; i letti dell’eros e quelli del sentimento vero e puro, di quello consumato e di quello solo immaginato.
   Ci sono poi le più strampalate ed originali abitudini del sonno, la tortura dell’insonnia (un suicidio differito nel tempo?): stralci di un’esistenza per lo più orizzontale, perché a letto – diciamo il vero – spesso ci siamo anche annoiati. Abbiamo fissato il soffitto con la luce accesa, abbiamo pregato in ginocchio, coi gomiti adagiati sul materasso... abbiamo divorato libri... ci abbiamo mangiato e smaltito sbornie... e c’è infine l’ultimo dei letti, forse il più importante, quello che è l’anticamera del gran viaggio verso la pace eterna.
   Dal punto di vista meramente stilistico, bisogna ammettere che non era operazione facile dare struttura narrativa all’idea centrale di questo libro. Era forte il rischio di banalizzare, d’essere prevedibili, ma il garbo del lessico selezionato dall’autore e certa raffinatezza nel mosaico rovesciano la prospettiva fino a farne opera d’arte.

Roberto Carvelli, Letti, Voland, pagg. 116, Euro 10,00

Fernando Bassoli  29-01-2006

  libri
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KAMASUTRA IN SMART, ROBERTO CARVELLI
Una storia d’amore a tre: lui, lei e la Smart
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La copertina trucco! MINIMALISMO? COME GIÀ EVOCATO DAL COGNOME, CARVELLI POTREBBE SEMBRARE UN Carver de noantri, data l’attitudine ad affrescare narrazioni basate sul particulare di guicciardiniana memoria, come il microcosmo automobilistico dove – diciamocela tutta – molti di noi hanno consumato sedili alla scoperta di quel certo tipo di sesso condiviso in spazi angusti che è prerogativa degli anni giovani, quando le ginocchia non sai nemmeno di averle e ogni muscolo si flette felinamente e non ti serve nemmeno il bagno, né prima né dopo, chissà poi perché, perché il tuo tetto è il cielo, la luna ti sorride e il tappeto dove stendersi è pelle morbida di donna affamata di carne.
   A mio parere il baricentro dell’opera sta nell’osservazione carvelliana circa la difficoltà di trovare lavoro in questa stralunata Italia berlusconiana posttangentopoliana, postdalemiana e in sintesi postmoderna, per usare un aggettivo caro ad un certo signor Tondelli.
   Dice Carvelli che oggi chi ha vent’anni e cerca lavoro non si fa certo illusioni, non si esalta, procede per tentativi, abbassa la leva di una slot-machine.
   Nessuno osa pronunciare la parola opportunità, occasione. La speranza, ultima Dea, è morta all’apparir del vero e il sogno americano è lontano.
   Non ci resta che scopare. Va bene qualsiasi posto, perfino il varipopinto parallelepipedo – o qualcosa del genere – di una Smart, modello di vettura che è divenuta presto la metafora della condizione giovanile dell’Italia del terzomillennio: la casetta ambulante di un esercito di single facili al tradimento che consumano rapporti e vite con la stessa facilità con cui si entra in un autogrill per fare una pisciatina e mettere qualcosa di caldo nello stomaco, magari rubacchiando una rivista porno di straforo.
   Il Kamasutra è roba vecchia: oggi imperversa lo smartsutra.
   Credo che dobbiamo ripensare la nostra società prendendo a riferimento il cap. 4 di questo libro, nel quale “il denaro non può essere sempre il termine della questione”.
   Perché in un mondo dove le auto sono sempre più piccole – e così le case – finiscono per essere più piccoli anche i sentimenti. Che nascono già con l’idea di poter/dover durare poco. Come i troppi prodotti che la pubblicità ci sbatte in faccia senza pausa. Si scrive: usa e getta, si legge consumismo.
   Oggi più che mai: c'est la vie.

Roberto Carvelli, Kamasutra in smart, Coniglio Editore, pagg. 63, Euro 5,00

Fernando Bassoli  25-02-2006

trucco!

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Di Carvelli (del 06/06/2006 @ 09:39:56, in diario, linkato 857 volte)

Nulla precipita, semmai cade. Non tutto va a terra infrangendosi. A volte le tazze si sbeccano a volte rimbalzano. E i bicchieri, lo stesso. La certezza non è data neppure dalla statistica, figurarsi dal timore. Bisogna osservare attentamente le piroette delle cose e se è possibile - solo se lo è - allungare la mano a raccogliere prima che il pavimento dia il responso. Ma nulla sai prima. Nulla. Quel che cade cade. Accade. Quel che si rompe si rompe. Succede. Non sempre i cocci non servono.

Queste immagini - ispirate a una poesia di Valerio Magrelli - sono di Elena Cantaluppi (e vengono da exibart)

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Di Carvelli (del 06/06/2006 @ 12:25:22, in diario, linkato 832 volte)

Gli amici di www.ramificazioni.com  hanno pubblicato una bella intervista ad  Andrej Tarkovskij un regista russo che amo moltissimo e di cui lessi anni fa un contributo di scritti cinematografici uscito per la Ubu libri. Ci sono immagini nei suoi film che non possono essere dimenticate. Come queste

Nel segnalare l'intervista segnalo anche il prezioso impegno di questi amici della provincia salernitana. www.ramificazioni.com/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=51

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Di Carvelli (del 07/06/2006 @ 08:44:46, in diario, linkato 871 volte)
In questo momento, da qualche parte c'è un bar che vive come un universo a sé. In una periferia operosa o in una borgata sonnolenta. Un bancone attorno al quale le aritmie si fanno ordinazioni o le poche parole hanno l'effetto di un comando solito. Da qualche parte s'inizia da una tazza. Qualcosa di caldo o di freddo, l'uso dell'alcol come un sole che sorge sul lavoro - e parliamo di lavori senza padrone. Le tazze tutte uguali; anche il caffé al vetro ha la trasparenza abituale e persino la commistione gradata è servita in quel cilindro stretto e scanalato alla base e appena più largo e liscio all'uscita, lì dove si poggiano labbra senza pentimento. In questo momento da qualche parte tovagliolini afferrano lieviti, cornetti, bombe fritte dopo averle scelte da un libro sempre nuovo premesso da interlocutori come "vediamo cos'è rimasto" o "vediamo cos'hanno portato". E dopo c'è chi esce e chi entra. Un flusso un po' solito e un po' no come rappresentazione fedele di vite anche molto monotone (ché nessuna vita lo è fino in fondo). Porte che si aprono e si richiudono, scontrini fatti a mente, tavolini da liberare, pezze sul bancone. Riordini. In questo momento.
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Di Carvelli (del 07/06/2006 @ 14:22:49, in diario, linkato 1014 volte)

Polaroid 41

"Sì ho parlato a troppa gente, oggi questo mi sorprende; ogni persona è stata per me un intero popolo. Un così immenso altro mi ha reso me stesso molto più di quanto avrei voluto. Adesso, la mia esistenza è di una solidità sorprendente; anche le malattie mortali mi giudicano coriaceo. Me ne scuso, ma è necessario che io seppellisca qualcun altro prima di me."

(Maurice Blanchot - La follia del giorno - Edizioni L'Obliquo)

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Di Carvelli (del 08/06/2006 @ 09:21:20, in diario, linkato 975 volte)
  • (f+g)' = f' + g'
  • (f·g)' = f'·g + f·g' 
  • img.
  • img ovvero img.
  • img ovvero img

    a meno a dà a. a più a dà a. a per a dà a. Dovrei credere ai tuoi teoremi? Illudermi della felicità che racconti? E' come quando i maghi fanno numeri che non gli riescono e magari qualcuno applaude uguale, per il clamore del "ecco qua signori". a più a dà a. Insistere non è bene. Non c'è applauso. La camicia è stirata male. Il ragazzo in moto aveva il braccialetto con il nome della ragazza: la regola dice che quando i fili si spezzeranno si realizzerà il desiderio. Ho visto gente molto adulta e molto perbene ad attendere lo sfilacciamento apotropaico e mi sono domandato se fosse la costosa esterofilia del viaggio o il patto d'amore a tollerare il polsino multicolore sotto il blazer. Io vado avanti nonostante tutto. Nonostante a non dà a contrariamente a quanto dici. E i numeri che ti ostini a sciorinarmi in faccia sembrano disobbedire ad ogni matematica. Eppure sarebbe più semplice dire che non ti tornano i conti. E invece tu annaspi di felicità, incespichi nei sorrisi, scivoli sul tutto bene. a meno a dà a. a più a dà a. a per a dà a. Perché dovrei credere ai tuoi teoremi?

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    Di Carvelli (del 08/06/2006 @ 17:06:22, in diario, linkato 884 volte)

    Mi racconta una foto. Per un po'. Per quanto si può parlare di una foto? Non so ma per un bel po' me la racconta. La foto forse è in casa sua o in casa di amici. Succede, alle volte, quando si parte da un particolare e si allarga che si perda l'interruttore. Continuiamo. Lei guarda la foto e ne parla. Dice che dentro ci vede delle cose, ci sente delle cose. Non sa dire ma racconta una foto come se fosse una finestra di casa e dietro il vetro una storia. Ma la parola specchio - che ricorre nel racconto - mi evoca confronti. Cosa succede a guardarsi in una foto? E in uno specchio? E in una foto-specchio? Alla fine per il realismo che mi distingue provo a rintracciare la foto. Per essere sicuro di aver visto, di aver letto, di affacciarmi dalla stessa finestra. E la foto è questa.

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    Di Carvelli (del 09/06/2006 @ 09:21:39, in diario, linkato 994 volte)

    Due poesie di Matteo Fantuzzi da

    testata

    *


    Elaborare il lutto, dirsi:
    "non è vero niente", "non è nulla"

    non pensare [...]

    ed anche oggi che son passati anni
    mi riappari delle volte sui menu del ristorante,
    o alla stazione mentre attendo l'autobus.

    O anche al cinema, tra le reclames di inizio proiezione:
    sei un passante in campo lungo dentr'allo spot dell'adidas,
    nella pubblicità dei tegolini, te ne stai facendo altro

    (come sempre)

    sfogli il giornale e mediti i tuoi fatti, i tuoi progetti.


    *

    Eppure m'ero ripromesso
    non sarei venuto a trovarti,
    troppo è ancora oggi il ricordo
    perché io non ti pensi ad Andorra, o in America,

    o a Glasgow. E invece stai lì, sotto terra,
    non ti curi di niente, della fabbrica in vacca,
    delle nuove riforme, del periodo di riassestamento
    politico, del fattore economico.
    E come ne esci contento in immagine, sembra quasi
    che lì si stia bene ogni tanto, che magari spostandoti
    un poco ci sia spazio anche per il sottoscritto
    tra quelle pareti spesse.

     

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