Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 27/04/2007 @ 14:59:50, in diario, linkato 1382 volte)
Perché le ultime parole e quali. Penso così. penso ad un messaggio nella notte. Ad un sms. Dove è la speranza? Dove è la fine. E' qui la fine? E penso a queste parole: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». E sono le ultime di Pavese: un biglietto nei Dialoghi con Leucò prima dei barbiturici. Da che si distinguono le parole ultime? C'è un tono? E non sembra. Spesso non sembra. Anche se qui c'è un perdono totale e a due versi. Cosa scrivere? Cosa dire prima della fine? A chi far avere le proprie ultime parole che le riporti fedeli? Come scegliere il testimone del proprio lascito verbale? Ci sono domande, insomma. Chi riporterà fedelmente quel che abbiamo pensato con lucidità? Magari in una lucidità estrema e nichilista? O se ci sono risposte: emergerannno da quelle frasi cariche di definitività?
Di Carvelli (del 27/04/2007 @ 15:09:01, in diario, linkato 1717 volte)
Adesso fa notte - fa preghiera. Apre le serrature del silenzio fa apparire la mappa siderale e ci inginocchia per quello spazio immenso fra qui e l'orlo del cominciamento quando le spine dorsali stanno tutte stese.
Di Carvelli (del 02/05/2007 @ 10:11:39, in diario, linkato 1047 volte)
"All'inizio pensò che l'avrebbe saziato con il suo amore, ma poi girando e rigirando quell'idea nella sua mente, le sembrò la cosa sbagliata da fare". Questa è la Davis di Faith in Inseguimento ma ho letto e apprezzato anche Cose che finiscono. Ma cito ancora, un po' più avanti, stesso racconto: "Sua madre alzò lo sguardo dai suoi minuscoli punti con l'ago e vide la figlia tutta contorta in un nodo e si colmò di preoccupazione. Così non va bene, disse. Devi trovargli un altro cavallo. Non puoi derubare qualcuno per trovare l'amore, tesoro. Non funziona mai".
A chi somiglia Amanda Davis (quella vera della foto, prima della sua tragica fine che nei racconti sembra quasi allusa da un anticipo creativo, una coincidenza) seconda coincidenza...forse alla Woolf?
Cose da fare ce ne sono molte. Preparare il pranzo per tanti. O la cena. Raccogliere cose che ti servono per mangiare. Riparare qualcosa. Persino dopo ore di lavoro duro non senti la fatica e il riposo è vero riposo. Non pare che stai sotto un albero a non fare nulla. Non pare che in fondo quello è ozio. Poi mangi e bevi e parli e te ne vai a letto ma con l'impressione che in fondo solo così il tempo è il tempo e non le cose che devi fare sono il tuo tempo. Questo il triste scambio simbolico della norma che norma non è. Piuttosto depravazione di un sistema che altri hanno scelto per noi come migliore.
Due episodi ieri che riguardano commesse di uno dei marchi più...consolidati dovrei dire della moda elegante sobria ma non irraggiungibile economicamente di questi ultimi venti anni. Un episodio non compare qui ma comparirà nei taccuini prossimi (che aggiorno anche se solo saltuariamente). Un altro eccolo. Semplice. Disarmante. Ed è una commessa che interfaccia la mia collega con un "c'è anche nel grigio". Poi un'altra "nel viola ho questo". E ancora una "nel nero". Attendo inutilmente anche un solo, uno solo distratto "in nero" o "in bianco" o il solo "c'è bianco o rosso". E invece nulla. Mi soprende il sospetto che quel "nel" (nella o nelle tonalità di?) sia una scelta lessicale di partenza. Ecco forse è così. In questi giorni proverò ad entrare in un altro negozio della catena per capire. Per capire in che o di che o nel colore che hanno scelto di esprimersi le commesse di questa catena.
Ho letto tutto. Ho amato tutto. Tranne i racconti di Vivere stanca che ho letto e mai acquistato. Altri libri (altri libri suoi pure) li ho letti e poi comprati per non farli mancare alla mia libreria, come una specie di cassetto degli oggetti cari di chi hai amato con quella famigliarità che non ti è costata sforzi o sforzi pienamente ripagati. Così ora compro il nuovo libro (il libro che non c'è come feci per gli ex post bellissimi e mai pentiti di Sandro Onofri) e mi sorprendo della correttezza - è una correttezza rara - del risvolto di copertina che dice testuale "Questo libro nasce per cercare una piccola consolazione alla nostalgia dei lettori che tanto hanno amato e mano Jean-Claude Izzo, scrittore e personaggio". Lo compro con questo spirito, adattando affetto, ricordo, passione e mancanza. E questa volta trovo quella che è operazione una dignitosa via per il ricordo. E passo un buon finesettimana. Con JeanClaude Izzo e con il suo (non suo ma per lui tributo) Aglio, menta e basilico (edizioni e/o).
Credo sia una parola siciliana. Non so di quale dialetto ma l'ho sentita dire a siciliani. Bummalata. Forse viene da boom... Insomma ne deduco trattarsi di una parola onomatopeica. Ma non so. Di certo so come si usa, cosa significa. Dicesi "bummalata" l'evidente enfasi narrativa. In italiano è "spararla grossa", dire qualcosa che è davvero lontano dal reale ma con convinzione impertinente, ottusa. Dire bummalate avrebbe il suo alter in dire... Beh ormai è chiaro. Ora vi dico questo: certe volte quando leggo in un libro di narrativa "servizi segreti deviati" (che forse disegna prospettive non poi così fantasiose, a leggere i giornali). Eppure, quando capita, la prima parola che mi viene in mente è questa: bummalata.
Mi piace leggere i libri ma più che mi piace alla fine li leggo proprio così...come un setaccio. Me li faccio passare dentro e li faccio uscire. E vedo quello che esce. E se esce soprattutto. E cosa rimane alla setacciatura della griglia della mia attenzione, del mio gusto. Ascolto cosa resta e il libro resta. Passa al passino questo libro di Vincenzo Pardini. Non scivola. Rimane. Sono così i libri, i libri che restano, quelli che ti lasciano addosso una patina. Una patina anche ruvida. E' proprio vero - dico con Pardini - che col teschio in mano andrebbe pronunciato un dilemma sul nostro essere selvatici o... O? Quale è il termine dell'antitesi? Di certo leggo Tra uomini e lupi (pequod) - racconti di scuola in cui ritrovo il Pardini che lessi e apprezzai ai suoi esordi in Theoria - e mi risuona il campanello del mio lato selvatico. Che non è un momento tra tanti, un intervallo tra tanta urbanità un po' carina e rispettosa, un po' laccata (qualcuno direbbe friendly). C'è qualcosa a cui dare un suo spazio. C'è qualcosa che si prende il suo spazio. Nonostante noi.
La mia collega parla a singhiozzo. Non sento quello che succede nel mezzo. Sento "calma", "non si agiti"...Ogni sei frasi. Non è che la telefonata fosse iniziata così ma ci è arrivata. Ora c'è la mia collega che dice queste due o tre frasi ed è poi interrotta... Ogni tanto pronuncia uno "scusi" un "mi fa parlare?" poi silenzio. La telefonata dura venti minuti poi devo uscire e non so come va a finire. Me lo farò raccontare.
Ieri ho visto Mio fratello è figlio unico. Proprio mentre sto rileggendo Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. E mi sembra, come altre volte ho riscontrato, che questo libro sia una sorta di cifra di riferimento di tante cose che avessero a che fare con l'idea della e idee sulla nostra Italia. Come se fosse una sorta di denominatore minimo che serva a leggere altre verità. Verità trasferite nel tempo e nello spazio. E forse tanta simbologia universale (quasi una mitopoiesi) nasce dal pensiero che lo ha generato, dalla distanza (sociale e culturale) che ha partorito questa sorta di storia-riflessione sulle cose nostre. Scrivo tutto questo non pensando meramente al contesto politico. Dico questo perché non è male ritrovare anche a distanza di anni nelle riflessioni la stessa ombra, lo stesso bagliore. Una luce che semplifica, che cerca (almeno cerca) di chiarire il mistero di quello che alle volte risulta essere una specie di semplice ca va sans dire.
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