Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carvelli (del 09/09/2008 @ 09:51:25, in diario, linkato 1662 volte)
La rossa non è solo Ferrari (e viceversa)
di Roberto Carvelli
Un cancello rosso, con una fascia bianca e sopra una banda tricolore. A fianco il simbolo del cavallino rampante. Mi viene da pensare “eccomi nei box della Ferrari” ma mi guardo intorno e sono nel cuore della Tuscolana, a due passi dalla Palmiro Togliatti che – le va riconosciuto – ogni tanto ospita i suoi bravi Raikkonen. Fuori dal mio cancello la scritta inequivocabile “Carrozzeria autorizzata Ferrari e Maserati”. Sì, d’accordo ma siamo nel cuore di Cinecittà, che ci farà in quest’isola di medietà, di stipendi fissi, di fare la spesa l mercato, una carrozzeria per generi di ultra-lusso? Risponde il titolare, Gianfranco Urbani, quarantadue anni di Ferrari sulle spalle e sui capelli bianchi: “Io riparo la carrozzerie della Ferrari da sempre. Poi un concessionario mi ha convocato e mi ha chiesto di essere il responsabile della carrozzeria ufficiale ed eccomi qua. Qua come altrove. In tutti i casi i ferraristi (quelli che
la Ferrari
ce l’hanno, non quelli che la tifano, è bene puntualizzare NdR) stanno qui come altrove”. Sulle motivazioni del lavoro, sul perché il Signor Urbani sia meccanico delle rosse, le parole volano alte (o basse, a seconda del punto di vista): “A me è sempre piaciuto fare le cose perfette e ho sempre fatto cose perfette”. E nello sguardo s’insinua il piacere di avere a che fare con i gioielli. Che poi significa studiare, prepararsi, fare corsi di aggiornamento. Sulla saldatura, sull’alluminio. E dietro le spalle il signor Gianfranco (ma qua tutti lo chiamano Franco) ha un piccolo museo a parete di attestati che lo certificano. “Non è un lavoro che si può prendere sottogamba. Hai a che fare con la perfezione e ti devi adeguare. E poi, non nascondiamocelo, hai a che fare con migliaia di euro...” Riparazioni che possono arrivare anche a 90 mila euro ma anche oltre. 10 o 400 ore di manodopera, le dime di riscontro (che sono dei piani di lavoro adatti alla messa in opera delle scocche). Poi certo c’è chi si deve far levare solo i graffi sulla carrozzeria, quelli dei “dispettosi” che magari ti sorprendono dentro qualche ristorante o locale, unico momento di libertà delle splendide biposto senza i loro piloti. Quando tentiamo di fare l’identikit di un possessore di Ferrari ci perdiamo in un campione poco riassumibile. Il tipo che mi siede a fianco – è arrivato ora come se fosse venuto a prendersi un the e a chiacchierare in un romanzo dell’Inghilterra vittoriana – ha un forno ad esempio. Una mercedes per tutti i giorni e una Ferrari per la domenica. Una macchina con cui sfidare l’impossibile ma “con prudenza – sottolinea – perché c’è gente che se la compra come un giocattolo e non sa che basta sbagliare a dare il gas e sei fatto”. Ci guardiamo youtube come una bibbia di casi allegri o disastri. Provate anche voi a mettere nel motore di ricerca “Ferrari+crash” e vi compariranno brandelli di lamiere o disattenzioni da paperissima. Disattenzioni care. Si va dalla morte recente del rampollo della casata soviet d’Albania Hoxha a stupidate da neofita che ti costringono a settimane e mesi di riparazioni. “Bisogna saperla portare. Come nulla bruci la frizione o ti allunghi” ancora l’amico panettiere. L’incidente più comune è il fuoristrada in curva o “semicurva” come battezzano l’inganno della strada. Ma c’è chi tampona nonostante i tanti sistemi di sicurezza in frenata. Urbani quell’uomo albanese lo conosceva. Una volta Dritan Hoxha gli aveva detto “a 320 è difficile levare i moscerini dal parabrezza” ma la macchina la sapeva portare, lui. E invece.
Poi c’è il discorso dei limiti di velocità, del calcolo della media in autostrada. Ma anche su questo ci si attrezza. Con il navigatore satellitare e con soste ai box per il caffè. Sul fatto di andare in pista, costi a parte, non è una cosa che interessa molti. Smontiamo anche il luogo comune del ferrarista piacione. Gente con famiglia e la passione per la velocità. D’accordo ma sua moglie non le avrà detto “ci potevamo comprare una casa al mare”? “Anche se ce n’è – spiega l’uomo del pane – di gente che fa i buffi per farsi
la Ferrari
è gente che non gli sposta molto comprarla”. Poi tocca vedere. Con 20 o 30 mila euro una mondial la compri, con 50 una 348. Non ce n’è per tutte le tasche ma si può fare. Tempo fa avevano pure scoperto Ferrari taroccate “ma si vede subito” dicono loro e chi le compra non è che ci cade è solo che non sa resistere al fascino di una rossa versione supereconomica. A questo punto mi levo la curiosità dei colori. Dire “la rossa” non è una giusta tautologia. Franco Urbani divide i colori per numeri: “Ti capitano 10 rosse, 6 gialle, 4 metallizzate e nere”. Dunque l’emulazione F1 non è così smaccata. Il super-carrozziere mi presenta il suo uomo di punta, Simone Baldelli. Anche lui 40 anni ma non di sola Ferrari. Uno che fa modellismo e quadri: “Quand’ero giovane mi sono costruito una Ferrari pezzo per pezzo” e mi mostra sul suo telefonino una sua opera pittorica: manco a dirlo rappresenta una macchina. Urbani e i suoi sono anche un gruppo-spalla come si direbbe in musica. Vengono chiamati in tutta Italia e fuori per dare la loro esperienza a carrozzeria alle prese con le macchine di Maranello. Perché questo è un mondo complesso. Anche se un incidente grave distrugge un veicolo scatta l’Archivio Ferrari che va a recuperare carcasse per studiare l’incidente. Nulla si distrugge, insomma, a parte i patrimoni e, purtroppo, qualche vita. Sfogliamo l’album delle foto come se fosse un repertorio di trasformazioni impossibili e vedo carcasse mangiate ridiventare nuove e “perfette” come ripete ossessivo Urbani in un prima/dopo documentato. Dunque la perfezione è umana? Parrebbe di sì.
Sgattaiolo fuori su via Papiria e sono in mezzo al caos tuscolano. Nessun rombo attorno a me. Solo l’esausto prima-seconda di gente in fila per tornare a casa dopo una giornata di lavoro. E’ venerdì. Mi viene da domandare chi di questi domani o dopodomani ritirerà dal garage la sua rossa o gialla o nera e sfiderà le foto degli autovelox. Una cosa l’ho capita: non è la faccia che conta, non c’è una faccia da Ferrari a parte quelle di Raikkonen e Massa.
Dov'è che eravamo mentre succedeva tutto? Con chi parlavamo? Che ci diceva quella ennesima voce che ascoltavamo? Dopo pensavamo che era meglio non esserci che esserci, o esserci stati prima e poi niente. Ma non ricordo in che anno. Né chi. E forse non saprei neppure dire se è di me che si sta parlando o di quell'altro che per un po' è stato dentro di me.
Di Carvelli (del 08/09/2008 @ 09:22:24, in diario, linkato 1357 volte)
M'è dato un corpo - che ne farò io di questo dono così unico e mio?
Sommessa gioia di respirare, esistere: a chi ne debbo essere grato? Ditemi.
Io sono giardiniere, e sono fiore; nel mondo-carcere io non languo solo.
Già sui vetri dell'eternità è posato il mio respiro, il caldo del mio fiato.
L'impronta lasceranno di un disegno, e più non si saprà che mi appartiene.
Scoli via la fanghiglia dell'istante: rimarrà il caro disegno, intatto.
Osip Mandel'stam (da Cinquanta poesie - Einaudi)
La finestra sul cortile di oggi di Massimo Bucchi
Dopo un periodo di incomprensioni ho ricominciato a chattare con mio figlio
Cose che uno dice, cose che uno non dice. L'odore del sapone, a buon mercato (l'odore e il sapone). Le mani unte. "E poi basta" e invece no. Ciambelline fritte e the speziato. "E' libero quel posto?" ma è in russo. "E' morto!" e io "Ma quando?". E lei "A dicembre, per un'influenza". E io... Torna, mi raccomando torna. Non dormire: per le zanzare, per il caldo, per il freddo, per la tensione, per l'intenzione (di non dormeire). Ti stimo. Ti amo. Ti odio. Non vali. Tutto in successione. "Domani, domani", finché posso rimando. "Stai bene!" E io "sì" ma non era una domanda. salmone (tanto). Aringhe (assai). Birra. Pago in rubli questa felicità senza voci. Non parlo: nessuno mi parla. Parlo: tutti mi parlano. Ci capiamo a gesti. Poi: un'interprete. Poi 50mila caratteri in un giorno. Come se fosse uan febbre: la febbere delle parole, la febbre della tastiera. Mai più guide (tradotte dal francese e con quel tono forzatamente simpatico, illusoriamente simpatico). la distanza tra me e le cose (le cose che sento, le cose che altri dicono, le cose così come le vedo). E il cielo che mi porto dietro. E il disprezzo che ci faccio tramontare. Da adesso in poi tutto è cambiato. Da adesso in poi tutto cambia ("usi tempi sbagliati"). Ti telefono quando posso. Ri telefono ma senza telefono. Canali, ponti, canali, fiumi, ponti, barche, acqua. Il resto te lo racconto a voce o un'altra volta. Ok?
Una domenica a Euroma2
di Roberto Carvelli
Euroma2. E’ il nome del nuovo centro commerciale nato alla fine della discesa del Palalottomatica (già Palaeur). Come se dovessi andare al mare ma all’ultimo ci ripensi e non continui per Ostia. Giri a destra e ti fermi lì. E siccome è una bellissima domenica d’estate mi viene l’insano pensiero di tentare una mia personalissima inaugurazione più per la curiosità di sapere chi ci troverò a fare spese sacrificando domenica, mare a due passi e sole meraviglioso. La risposta non è due gatti ma un’autentica ridda di macchine e persone in carosello.
Euroma2. Chissà perché ogni volta che nasce un centro commerciale lo si misura in scala geografica. E’ il più grande d’Europa. O: è il più grande d’Italia. O di Roma. C’è come una specie di piccolo campionato a cui si devono iscrivere tutti i centri commerciali. Tutt’ora con molti amici discettiamo di quale Ikea sia la più grande con misurazioni quasi catastali. Quella di Anagnina o quella di Porta di Roma? Ma c’è sempre l’esterofilo disfattista che sostiene sia uno dei due di Milano (giammai schiavi di Roma!).
Euroma2 si iscrive a questo singolarissimo torneo con 230 tra negozi e ristoranti e 4 mila posti auto. In qualcosa vincerà? Intanto in sfarzo. Marmo dentro e fuori come se fosse un sacrario militare che però somiglia ad una nave ammarata a ridosso della salita della Cristoforo Colombo. Se la ricchezza si misurasse in pietra ecco che un premio se lo sarebbe già meritato questo nuovo centro commerciale. Mi domando quante montagne siano state affettate per dare lastroni a tutta parete, pavimenti e decorazioni molto chic. Dentro addirittura il marmo finisce in steli e urne dal gusto vagamente napoleonico. Ma questa non è Versailles e, diciamocelo, nessuno di noi ha quell’aria appropriata che trasuda nobiltà e danari. In realtà anche senza esserci stati negli Usa, anche solo per aver frequentato un po’ il cinema, lo riconosci quel tipico trash de lux un po’ leccato che fa molto grande magazzino americano anche se alla fine potremmo essere a Doha o in altri luoghi dell’ostentazione: se non fosse per qualche amo’ che mi ridà il senso tutto romano del fare le spese in due – moglie e marito o succedanei – crederei di essere sconfinato. Eppure potremmo stare benissimo anche nel reparto negozi di un grande albergo o di una nave o in un aeroporto. Mi riprometto di non scrivere la parola “non luogo” se non una volta: ecco fatto, mi tolgo il pensiero! Ovviamente ci sono mani e buste vuote e i supersaldi per chi ha le mani legate dalla supercrisi. E dunque superfrustrazione e affogamento nel cibo sacra via di fuga italica al mal di vivere economico e non solo. E infatti per mangiare (fast food a parte) ci si mette in lista e si aspetta. E si aspetta davvero a riprova che qualche soldo è dovuto avanzare almeno per questo. Per il resto si guarda più che comprare o si prova più che pagare. Insomma si super-rimanda al prossimo stipendio. Mano a mano che passano le ore lungo i tre piani di negozi – tutte le marche tutte! – Euroma2 si va riempiendo di abbronzatissimi in fuga dal bagnasciuga. I negozi si affollano: grucce che cadono, camerini intasati ma banconi sempre senza fila. Le gambe ormai vanno da sole stanche ma autonome. Riconoscere la debacle fisica è l’unica salvezza allo shopping compulsivo o alla frustrazione da mani vuote.
Un consiglio per uscire dal videogioco? Memorizzate bene dove avete parcheggiato macchina o moto – o perlomeno il colore della sezione garage – c’è il rischio di rimanere imprigionati in un cruciverba di lettere numeri e colori come una pena aggiuntiva al vostro rosso bancario e alla condizione fisica da fine stagione.
Riprendo con calma segnalando... Due uscite (una è un'antologia ad uso interno)
"Un libro da Impresa. Storie e leggende di Alitalia raccontate da dieci scrittori italiani"
L'antologia contiene oltre al mio racconti di: Michele Governatori, Alessandra Buschi, Gabriele Dadati, Francesca Romana Capone, Francesco Pacifico, Francesca Bonafini, Luca Giachi, Fabrizio Venerandi, Federico Platania.
E poi...in uscita un vocabolo in questo dizionario di cui vi allego scheda.
In libreria dall’11 settembre DIZIONARIO AFFETTIVO DELLA LINGUA ITALIANA a cura di Matteo B. Bianchi con la collaborazione di Giorgio Vasta
 Gli scrittori, per raccontare, usano le parole. Per loro, quindi, le parole sono i cosiddetti “ferri del mestiere”. Ma sono anche emotività, sono affetti. Partendo da questa consapevolezza, Matteo B. Bianchi, con la collaborazione di Giorgio Vasta, ha pensato di domandare a oltre trecentoquaranta tra narratori e poeti italiani quale fosse la loro parola “affettivamente” più significativa e di renderle omaggio nella forma di una classica definizione da dizionario. Ne è venuto fuori il primo Dizionario Affettivo della Lingua Italiana, un volume insieme tradizionale e atipico, un piccolo monumento di scrittura dedicato alle parole della nostra lingua osservate attraverso l’occhio autorevole di coloro che maggiormente la frequentano, la usano, la amano: da Andrea Camilleri a Sandro Veronesi, da Erri De Luca a Giancarlo De Cataldo, da Melissa Panariello a Giorgio Faletti, da Paolo Nori a Tiziano Scarpa, passando per Enrico Brizzi, Paolo Giordano, Tullio Avoledo, Lidia Ravera, Domenico Starnone, Camilla Baresani, Giuseppe Genna, Luciana Littizzetto, Michele Serra, Marcello Fois, Diego De Silva e tantissimi altri. Una lettura affascinante e imprevedibile, in grado tanto di sorprendere quanto di offrire inediti spunti di riflessione. Un libro da leggere come un viaggio all’interno di quell’esperienza insostituibile che è la parola. Fandango Libri pagine 256 – euro 10.00
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